Il Giappone ha eseguito il 26 giugno la condanna a morte per Takahiro Shiraishi, noto come il “killer di Twitter”, autore di uno dei crimini più efferati della storia recente del Paese. L’uomo, 34 anni, era stato condannato nel 2020 per l’omicidio e lo smembramento di nove persone, tra cui otto donne e un uomo, adescati tra l’agosto e l’ottobre del 2017 attraverso il social network X (all’epoca Twitter). Shiraishi attirava le sue vittime – per lo più giovani tra i 15 e i 26 anni che avevano espresso pensieri suicidi online – promettendo loro “aiuto per morire” o compagnia nella morte. Una volta ottenuta la loro fiducia, le drogava, le violentava e le strangolava nel suo appartamento a Zama, a sud di Tokyo. I resti venivano poi nascosti in contenitori refrigerati o scatole di plastica. L’arresto avvenne nell’ottobre 2017, quando la polizia, allertata dalla famiglia di una delle vittime, trovò due teste umane e resti in decomposizione nell’abitazione dell’uomo. Il caso sconvolse l’opinione pubblica giapponese e riaccese il dibattito sull’uso dei social da parte di persone vulnerabili e sulla necessità di una maggiore sorveglianza digitale. L’esecuzione, avvenuta per impiccagione, è la prima registrata in Giappone dal 2022 e la prima sotto il governo del premier Shigeru Ishiba. Il Ministero della Giustizia non ha rilasciato commenti ufficiali, ma fonti interne hanno confermato che la decisione è stata presa “nel rispetto della sentenza definitiva e della gravità dei crimini commessi”. Il Giappone è uno dei pochi Paesi sviluppati a mantenere la pena capitale, applicata esclusivamente per impiccagione e riservata a reati particolarmente gravi. Secondo Amnesty International, nel 2024 erano almeno 106 i detenuti nel braccio della morte.
