“È necessario fare di tutto per sostenere adeguatamente imprese e famiglie; l’alternativa è un impoverimento generale e duraturo che riporterà i livelli di ricchezza indietro di quarant’anni”. Dati in giù, difficoltà per le industrie di superare la crisi, le incertezze dei mercati e del domani: la crisi economica metterà in gravi difficoltà famiglie e imprese.
Per il Centro studi di Confindustria grafici, analisi di numero e scenari mostrano una caduta e di conseguenza lo sarà per produzione, e occupazione. Una discesa verso un baratro che da dopoguerra non si era mai verificata nel Paese.
“La produzione industriale in marzo e aprile registra una perdita di oltre il 50%”, calcola Confindustria. Sono gli effetti delle misure restrittive e anti contagio introdotte per contenere la diffusione del Covid-19 che hanno prodotto una caduta “dell’attività senza precedenti nelle serie storiche disponibili”. Per il Centro studi Confindustria, non c’è nemmeno da sperare che il ritorno graduale al lavoro compia il miracolo di una crescita della produzione e una situazione di normalità.
“La fine del lockdown, non genererà un veloce recupero perché le famiglie continueranno a essere prudenti e a risparmiare anche a scopo precauzionale”, segnala il rapporto, “le imprese dovranno smaltire le scorte che si sono accumulate negli ultimi mesi mentre la domanda estera risentirà della contrazione corale dell’attività in Europa”. Il secondo trimestre, per queste ragioni, secondo le previsioni di Confindustria, mostrerà una dinamica di Prodotto interno lordo, e produzione molto più negativa rispetto a quella osservata nel primo.
“Le prospettive sono incerte e legate all’evoluzione della crisi sanitaria”, sottolinea il Centri studi di Confindustria, che rileva una diminuzione della produzione industriale del 26,1% in aprile su marzo, quando è arretrata del 25,4% su febbraio. “Nel primo trimestre 2020”, evidenzia il Centro studi, “si registra una variazione congiunturale di -7,5%. La produzione, al netto del diverso numero di giornate lavorative, arretra in aprile del 45,2% rispetto allo stesso mese del 2019; in marzo è stimata in calo del 26,5% sui dodici mesi. Gli ordini in volume scendono del 44,6% in aprile su marzo, quando sono diminuiti del 23,7% su febbraio”.
La dinamica congiunturale dell’attività industriale in marzo e aprile è stata calcolata, puntualizza Confindudtria, con una metodologia diversa da quella finora utilizzata, in linea con le indicazioni di Eurostat sul trattamento dei dati destagionalizzati in un contesto caratterizzato dallo shock improvviso causato dalla diffusione del Covid-19. “Eurostat”, spiega il Centro studi nell’entrate nelle dinamiche più tecniche del rapporto, “consiglia di trattare le nuove osservazioni come outlier (esattamente come additive outlier), ovvero come valori anomali, almeno per i primi mesi dopo lo shock iniziale, da marzo e, verosimilmente, fino all’estate. Tale procedimento evita che ci siano forti revisioni nelle serie storiche – come sarebbe avvenuto se fosse stato utilizzato l’approccio precedente – e scongiura, di conseguenza, gli impatti anche nelle dinamiche di altri aggregati che utilizzano la produzione industriale come variabile di riferimento, primo fra tutti il PIL”. Questo differente approccio metodologico mantiene dunque inalterato l’andamento della produzione industriale fino a febbraio, ma “scarica” l’impatto economico esclusivamente sulle ultime osservazioni, nel caso specifico in marzo e aprile.
“Ciò spiega”, fa presente il Centro studi, “in gran parte la differenza rispetto alle stime preliminari di marzo diffuse un mese fa (-16,6%). È auspicabile”, si augura Confindustria, “che lo stesso approccio nel trattamento dei dati post Covid-19 sia utilizzato da tutti gli istituti europei, per rendere confrontabili le statistiche internazionali.
La caduta dell’attività nei due mesi di rilevazione è di poco superiore al 50% cumulato. Non ci sono precedenti storici di tale entità”. Questa dinamica è spiegata da due fattori: da una parte il blocco dell’attività nell’industria, deciso con DPCM del 22 marzo, che ha riguardato quasi il 60% delle imprese manifatturiere per poco più di una settimana a marzo e per tutto aprile; dall’altra parte ha inciso una dinamica molto bassa sia della domanda interna, che ha risentito delle chiusure delle attività in alcuni settori del terziario e delle limitazioni agli spostamenti delle persone, sia di una domanda estera che è stata fortemente intaccata, soprattutto in aprile, dalla diversa tempistica con la quale sono state introdotte misure restrittive nei partner commerciali dell’Italia dove si è diffuso il virus. “La variazione acquisita della produzione industriale nel secondo trimestre è di -40,0%; per i prossimi mesi, quando è attesa una modesta ripresa della domanda, c’è da attendersi un forte rimbalzo congiunturale dell’attività pur in presenza di una variazione tendenziale ancora negativa”.
Per il Centro studi di Confindustria inoltre la ripartenza sarà graduale, nonostante la fine del lockdown, perché le abitudini di spesa delle famiglie sono cambiate e difficilmente torneranno in tempi rapidi a quelle precedenti e perché le imprese negli ultimi mesi hanno accumulato scorte che dovranno essere smaltite prima che il ciclo produttivo possa tornare a ritmi normali. “Per queste ragioni la maggioranza delle imprese, con poche eccezioni, lavorerà a un regime ridotto per diversi mesi”, conclude la nota di Confindustria che parla di situazione di grande sofferenza, “L’indagine PMI sul manifatturiero in aprile conferma uno scenario economico drammatico: l’indice generale è sceso a 31,1 minimo dall’inizio delle indagini (1997). In particolare, l’indice della componente produzione è sceso a 11,4, con l’84% delle imprese che ha segnalato una diminuzione dell’attività, quello degli ordini è sceso a 11,6 con la componente estera a 18,2. Simili dinamiche sono state rilevate anche nel resto d’Europa. Alla luce di queste informazioni, nel secondo trimestre c’è da attendersi una caduta del PIL italiano di almeno 8 punti percentuali. È necessario fare di tutto per sostenere adeguatamente imprese e famiglie; l’alternativa è un impoverimento generale e duraturo che riporterà i livelli di ricchezza indietro di quarant’anni”.