domenica, 23 Marzo, 2025
Società

Italia, 118mila negozi chiusi in 12 anni: la desertificazione commerciale svuota le città

Dal 2012 al 2024 persi anche 23mila ambulanti e 2.800 sportelli bancari. Crescono le imprese di alloggio e ristorazione (+18.500), spinte dagli affitti brevi (+170%)

Sono dati che, purtroppo, parlano chiaro: la desertificazione commerciale è qualcosa in atto in Italia da più di due lustri. E la sensazione è che la situazione non possa migliorare, almeno nel breve termine. Facendo parlare i numeri, basti pensare che in dodici anni, dal 2012 al 2024, l’Italia ha perso quasi 118mila negozi al dettaglio e 23mila attività di commercio ambulante, una vera e propria emorragia che sta cambiando profondamente il volto dei centri urbani, in particolare dei centri storici. A fronte di questo arretramento del commercio tradizionale, si è assistito però a una crescita importante delle attività di alloggio e ristorazione, con un saldo positivo di circa 18.500 imprese, spinte soprattutto dal boom degli affitti brevi (+170%). La fotografia è quella scattata dall’analisi ‘Demografia d’impresa nelle città italiane’ di Confcommercio, che accende i riflettori su un fenomeno di portata nazionale: la desertificazione commerciale, che rischia di compromettere vivibilità, sicurezza, identità e coesione sociale delle città italiane.

Una trasformazione silenziosa

Tra il 2012 e il 2024, il commercio fisso ha subito una contrazione del 21,4% a livello nazionale, con un’accelerazione evidente dopo la pandemia (quasi 38mila esercizi chiusi solo dal 2020 in poi). Nei 122 Comuni oggetto dell’analisi, il calo è stato ancora più drastico: -22,7%. I dati non sono solo numeri: raccontano di vie dello shopping sempre più spoglie, vetrine oscurate, strade meno frequentate, con effetti anche sull’economia locale, il turismo e la percezione di sicurezza urbana. I centri storici, in particolare, sono i più colpiti: spariti quasi 31mila esercizi in sede fissa in dodici anni. In parallelo, si registra anche una significativa riduzione degli sportelli bancari, passati da 8.026 nel 2015 a 5.173 nel 2023 (-35,5%). Due segnali evidenti di un progressivo svuotamento funzionale dei cuori cittadini.

Un commercio che cambia volto

A livello merceologico, il cambiamento è netto: nei centri storici calano i negozi “storici” – carburanti (-42,1%), libri e giocattoli (-36,5%), mobili e ferramenta (-34,8%), abbigliamento (-26%) – mentre crescono i servizi: farmacie (+12,3%), computer e telefonia (+10,5%), attività di alloggio (+67,5%). Ma la crescita dell’alloggio è trainata quasi esclusivamente dagli affitti brevi, mentre gli alberghi tradizionali sono in calo (-9,7%).

Il fenomeno è diffuso su tutto il territorio nazionale, ma con differenze territoriali significative. Le regioni del Nord sono le più colpite: tra le città con le maggiori perdite troviamo Ancona (-34,7%), Gorizia (-34,2%), Pesaro (-32,4%), Varese (-31,7%) e Alessandria (-31,1%). Al contrario, nel Centro-Sud la tenuta è stata maggiore: Crotone (-6,9%), Frascati (-8,3%), Olbia (-8,6%), Andria (-10,3%) e Palermo (-11,2%) sono i Comuni che hanno resistito meglio.

L’avanzata delle imprese straniere

Negli stessi settori in crisi (commercio, alberghi e pubblici esercizi) si registra una forte crescita delle imprese a titolarità straniera, aumentate del 41,4% a fronte di un +3,1% delle imprese italiane. Un dato che racconta la capacità degli imprenditori stranieri di inserirsi in nicchie lasciate scoperte, ma anche di un cambiamento della struttura imprenditoriale italiana. Dal punto di vista occupazionale, il comparto commercio, alloggio e ristorazione rappresenta una delle principali aree di inclusione lavorativa per gli stranieri: su 397mila nuovi occupati stranieri in Italia negli ultimi 12 anni, 155mila (39%) sono impiegati proprio in questo aggregato.

Le proposte di Confcommercio

A fronte di questo scenario, Confcommercio lancia il progetto ‘Cities’, con un obiettivo chiaro: rigenerare il tessuto urbano e contrastare la desertificazione commerciale. Le proposte sono articolate e puntano su cinque linee strategiche: rigenerazione dello spazio pubblico (valorizzare quartieri e spazi degradati attraverso interventi urbanistici mirati, in sinergia con le economie di prossimità e con una visione di placemaking); mobilità e logistica sostenibili (promuovere Pums e Puls che integrino trasporti, commercio e sostenibilità, incentivando la logistica urbana a basso impatto ambientale; patti locali per riaprire i negozi sfitti (favorire accordi tra Comuni, proprietari e associazioni per canoni calmierati e riuso degli immobili nei quartieri più fragili); gestione partecipata della città (promuovere la città come ‘bene comune’, coinvolgendo cittadini e imprenditori nella cura dello spazio urbano e nello sviluppo di iniziative sociali e commerciali; tecnologie per politiche più efficaci (sfruttare i Big Data e l’Urban Analytics per pianificare strategie commerciali basate su flussi reali di pedonalità e consumo).

Confcommercio, attraverso le sue Associazioni territoriali, ha anche sperimentato una dashboard digitale in grado di monitorare il traffico pedonale e le dinamiche commerciali nei centri urbani, al fine di pianificare eventi, campagne e arredi urbani più efficaci.

“Senza commercio di vicinato, non c’è comunità”

“Senza commercio di vicinato, non c’è comunità”, le parole del presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, commentando i risultati dello studio: “La desertificazione commerciale minaccia vivibilità, sicurezza e coesione sociale delle nostre città. Occorre sostenere le attività di vicinato e il nostro progetto Cities punta a riqualificare le economie urbane con il contributo di istituzioni e imprese”.

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