domenica, 5 Gennaio, 2025
Sanità

Sanità. Rapporto Cnel: cresce il ricorso ai privati in calo il pubblico. Il 35% dei ricoveri chirurgici in strutture accreditate

Sono 4,5 milioni le persone che nel 2023 hanno rinunciato a prestazioni mediche

Il 35% dei ricoveri chirurgici è ormai in strutture private. Mentre la spesa sanitaria privata dei cittadini è in salita, quella pubblica resta in costante calo Così la sintesi – tra i molteplici dati sul Servizio sanitario nazionale – offerti dal Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, nel rapporto di fine anno sulla Sanità italiana. Lo studio scandaglia i tanti aspetti di una sanità pubblica che fa fatica a tener testa alla complessità di un servizio ritenuto essenziale dai cittadini e da quanti ci lavorano. Se l’Italia spende sempre più giù in Europa per la spesa pubblica in sanità per contro quella privata viaggia con numeri in costante crescita.

Chi rinuncia alle cure

Il primo dato significativo di questa situazione di criticità sono i 4,5 milioni di cittadini che nel 2023 hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per problemi economici, problemi di offerta (lunghe liste di attesa) o difficoltà a raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. Si tratta del 7,6% della popolazione italiana, contro il 7% del 2022 e al 6,3% del 2019, anno pre-pandemico.

Il balzo del privato

Aspetto significativo nel cambio del rapporto tra cittadini e servizio sanitario è il costante e crescente ricorso alle strutture private convenzionate che tocca la percentuale del 35% di tutti i ricoveri chirurgici Un balzo che proietta l’Italia tra i Paesi Ue che fanno meno ricorso
all’ospedalizzazione pubblica. Per contro si registra una degenza media fra le più alte in Europa.

Dove vanno gli anziani

In strutture private accreditate nell’ultimo quinquennio sono cresciuti i ricoveri di persone anziane, di 2,3 punti percentuali. In termini di offerta, circa un quarto (27,1%) dell’attività di ricovero viene erogata da strutture private accreditate, con una importante variabilità a livello regionale. Nelle strutture ospedaliere invece emerge che il minor numero di ricoveri si lega ad una valutazione dei privilegiando l’accesso in ospedale dei pazienti più severi, dato in linea con la situazione demografica italiana caratterizzata da una popolazione più anziana.

Il calo dei ricoveri ordinari

Nella Relazione 2024 sui servizi pubblici il Cnel evidenzia che nell’ultimo decennio (2022-2012) si sono ridotti i ricoveri ordinari in acuzie del -20,9%; seguono quelli diurni in acuzie, con una riduzione del -37,5%, mentre quelli in riabilitazione ordinaria si sono ridotti del -16,0% rispetto al 2012 e quelli diurni del -47,0%.

In giù la lungo degenza

I ricoveri in lungo degenza si sono ridotti del -36,5%. Nel 2022, la degenza media ordinaria in acuzie era pari a 7,2 giornate, in aumento (+0,5 gg rispetto al 2012); quella in riabilitazione era pari a 26,4 giornate (+0,2 gg. rispetto al 2012) e quella in lungodegenza a 24,8 giornate (-3,9 gg.). Per quanto concerne gli accessi diurni medi, quelli in acuzie risultavano pari a 2,7 (in riduzione di -0,1 gg. rispetto al 2012); in riabilitazione erano pari a 16,7 (+3,7 gg.). A livello regionale la degenza media dei ricoveri ordinari in acuzie, standardizzata per età, varia fra il valore massimo della Valle d’Aosta (8,4 gg.) e quello minimo della P.A. di Bolzano (6,4 gg.).

55-59 anni la fascia fragile

Nella relazione 2024 del Cnel si sottolinea inoltre che nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie. La quota di cittadini che ha rinunciato a visite mediche (escluse odontoiatriche) o ad accertamenti sanitari è massima nella fascia di età 55-59 anni (11,1%), è più bassa ma comunque elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%) e minima tra i bambini fino ai 13 anni (1,3%). Emerge uno svantaggio delle donne, con il 9% contro il 6,2% degli uomini.

Lo stato delle Regioni

La quota più alta di rinuncia si registra al Centro (8,8%), mentre nel Mezzogiorno è pari al 7,7% e al Nord al 7,1%. Il dato peggiore è in Sardegna con un valore pari al 13,7%, seguita dal Lazio (10,5%) e dalle Marche (9,7%). All’opposto si collocano il Friuli-Venezia Giulia, le PA di Bolzano e Trento, Emilia Romagna, Toscana e Campania con valori inferiori al 6%.

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