giovedì, 4 Luglio, 2024
Esteri

Hezbollah: non vogliamo un’altra guerra. Gallant, ci servono 10mila soldati

Polemiche in Israele per il rilascio di detenuti palestinesi e per le torture in carcere

I vertici locali di Hezbollah, il partito armato filo-iraniano, e di Amal, il suo alleato vicino al potere siriano, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta riguardante le recenti minacce da parte di Israele di una guerra totale contro Hezbollah in Libano. Nel testo del comunicato, diffuso ai media dopo una riunione di esponenti di Hezbollah e Amal a Tiro, 90 chilometri a sud di Beirut e 30 chilometri a nord dalla linea del fronte con Israele, i rappresentanti delle due formazioni hanno affermato: “Questa guerra totale di cui ci minaccia Israele, non la vogliamo ma non la temiamo neppure. Siamo pronti perché vogliamo proteggere la nostra popolazione e siamo convinti di sconfiggere il nemico”. La tensione è alta alla frontiera tra Israele e Libano, ormai da settimane e gli scambi di fuoco sono proseguiti senza tregua. Gli israeliani hanno colpito ripetutamente Marjayoun con una serie di attacchi aerei e con droni. Sono state uccise una decina di persone e molte ferite. L’escalation di violenza ha anche visto bombardamenti su Kfar Kila. A Hula, quattro membri di Hezbollah sono stati uccisi tra venerdì e sabato a causa del fuoco ripetuto dei droni israeliani. Secondo il quotidiano libanese L’Orient-Le Jour, è salito a 361 il numero dei combattenti di Hezbollah uccisi da Israele dall’ottobre scorso in Libano e Siria, secondo un conteggio che si basa sui comunicati ufficiali del movimento armato libanese alleato di Iran e Hamas.”

Tel Aviv necessari 10 mila soldati

Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha però dichiarato che le forze di difesa hanno bisogno di “10 mila soldati subito” e l’esercito può “reclutare 4800 ortodossi immediatamente”. Gallant, che ha parlato alla Knesset, ha insistito sulle necessità dell’esercito in questa fase ammonendo che Israele “non può portare soldati dall’estero”.

Carceri israeliane, la denuncia

In Israele è scoppiata la polemica interna dopo che il direttore dell’ospedale Al-Shifa di Gaza, Muhammad Abu Salmiya, è stato rilasciato – insieme ad altri 54 palestinesi – e ha detto che “molti prigionieri sono stati martirizzati nelle celle degli interrogatori” e “medici e infermieri israeliani picchiano e torturano i prigionieri palestinesi e trattano i corpi dei detenuti come se fossero oggetti inanimati”. “Ogni prigioniero ha perso circa 30 chili tra il cibo negato e le torture”, ha affermato il medico, aggiungendo che i detenuti “sono stati aggrediti quasi ogni giorno. Non abbiamo incontrato avvocati, né alcuna istituzione internazionale ci ha fatto visita”. Il premier Benyamin Netanyahu ha ordinato una indagine immediata. Il suo ufficio ha reso noto che “la scelta di liberare i detenuti è stata fatta a seguito delle discussioni alla Corte Suprema contro la detenzione nel centro di Sde Teiman. L’identità dei rilasciati è determinata in modo indipendente dalle forze di sicurezza in base a valutazioni professionali”.

Critiche allo Shin Bet

Sotto accusa è finito lo Shin Bet, agenzia di intelligence interna israeliana, che avrebbe “forzato” la liberazione per “la mancanza di spazio” nelle carceri israeliane. Abu Salmiya “soddisfaceva i requisiti per il rilascio riguardo al livello di pericolo che rappresenta”, ha sottolineato lo Shin Bet, aggiungendo tuttavia che indagherà sulla decisione di liberarlo. Il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha attaccato la decisione di liberare, insieme ad altri circa 55 palestinesi, il direttore dell’ospedale Shifa di Gaza: “La debacle sul rilascio del direttore dell’ospedale – ha scritto – è una diretta continuazione dell’illegalità e della disfunzione che caratterizzano il governo e che mettono a rischio la sicurezza dei cittadini israeliani”. Il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben Gvir ha chiesto il licenziamento di Ronen Bar, direttore del servizio di sicurezza Shin Bet.

Enclavi umanitarie nella Striscia

Israele si starebbe preparando a creare delle “enclavi umanitarie” nella Striscia di Gaza, una sorta di bolla senza Hamas in vista del dopoguerra: lo riferisce il Financial Times, citando diverse fonti a conoscenza della questione. “Il piano pilota per ‘enclavi umanitarie’ – un modello che Israele immagina possa succedere alla guerra – sarà lanciato nei quartieri di Atatra, Beit Hanoun e Beit Lahia, nel nord di Gaza”, ha scritto il giornale. Allo stesso tempo, il Ft ha rilevato che ci sarebbe “scetticismo diffuso” sulla fattibilità di questo progetto, a causa “della violenta opposizione di Hamas, delle lotte intestine sui dettagli nel governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e della mancanza di entusiasmo degli Stati arabi”. “L’abbiamo già provato in tre diverse aree del centro e del nord di Gaza, anche con i clan locali. Sono stati tutti sconfitti o eliminati da Hamas”, ha detto un ex alto funzionario israeliano a conoscenza del piano. Secondo un’altra fonte, gli israeliani penserebbero che ci saranno palestinesi capaci di governare la Striscia dopo la sconfitta di Hamas, e paesi arabi o la comunità internazionale disposti a pagare per questo, ma “nessuno abbocca”.

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