Abbiamo dato al virus 40 giorni di vantaggio. Ora dobbiamo recuperare. Eppure in Italia avevamo iniziato bene.
Il 31 gennaio il Governo aveva dichiarato lo stato di emergenza sanitaria. Ci fu subito un’ondata di accaparramento di mascherine e Amuchina. E poi finì tutto lì.
Le tappe successive della realizzazione della politica di emergenza sono state tante, troppe, incerte e non coerenti.
Tra decreti legge, decreti della Presidenza del Consiglio e ordinanze del Ministero della Salute abbiano avuto ben 7 interventi: il 25 Febbraio, il 1° Marzo, il 4 Marzo, l’8 Marzo, e poi l’11, il 22 e il 24 Marzo. Se a questi sommiamo gli interventi delle varie Regioni, perdiamo il conto.
Ora dovremmo aver raggiunto il massimo livello della normazione restrittiva, si spera.
Non ha senso piangere sul latte versato né fare processi mentre la battaglia è in corso.
l’Italia non è stata l’unico Paese a mostrare incertezza e ritardi, ma questo poco o nulla ci consola.
Il detto “mal comune mezzo gaudio” in situazioni drammatiche come una pandemia devastante andrebbe modificato in “mal comune mezzo guaio”.
Ma siccome dobbiamo guardare al futuro e al dopo, come La Discussione con una serie di articoli sta già facendo, mettiamo alcuni punti fermi nell’agenda del dopo virus.
L’Italia deve dotarsi di una legislazione organica per le emergenze che regoli in maniera chiara, semplice ed efficace sia la distribuzione della catena di comando sia quelle che in azienda si chiamano operations.
L’accorpamento temporaneo di poteri è la prima misura da adottare in situazioni di grave crisi.
In Italia, abbiamo una frantumazione eccessiva dei poteri decisionali che già non ci aiuta a gestire la normalità, figuriamoci se con questo assetto si possono affrontare le emergenze. Inevitabilmente in questi casi tutto il potere dovrebbe essere conferito al Governo centrale, nella figura del Presidente del Consiglio che potrebbe adottare atti immediatamente esecutivi ma da sottoporre sempre alla valutazione del Parlamento con procedure speciali, accelerate e semplificate.
La tempestività degli interventi nelle situazioni emergenza è essenziale per limitare i danni, soprattutto alle persone, e per evitare che il problema da fronteggiare aumenti di proporzione. Il sistema della Protezione civile, che in tante emergenze ha dimostrato di funzionare bene, va rafforzato, dotato di ulteriori mezzi e deve essere meglio centralizzato. Ma esso è un braccio operativo che non ha competenze specifiche in settori. Ad esempio di fronte ad un’emergenza sanitaria occorre prevedere un organismo ben addestrato che sappia cosa fare e come farl, guidando e affiancando la Protezione civile. L’Istituto Superiore di Sanità dovrebbe essere articolato in maniera tale da avere al suo interno una super-team di rapido intervento
Altro elemento essenziale della legislazione di emergenza è il rapporto con le competenze elevate delle nostre Forze armate. Esse devono poter essere mobilitate e utilizzate senza che questo comporti una “militarizzazione” del Paese.
Infine, ma non meno importante, è necessario un modello diverso di comunicazione. Durante un’emergenza, un messaggio dato in modalità e tempi sbagliati può ottenere effetti opposti a quelli desiderati.
La legislazione di emergenza dovrebbe prevedere l’istituzione di gruppo di comunicatori e psicologi, formato da grandi esperti e professionisti specializzati nella comunicazione di crisi che deve diventare l’unico soggetto che gestisce la comunicazione del Governo. A questo team deve essere conferito il potere non solo di consigliare ma anche di porre un veto sulla pubblicazione di testi ritenuti gravemente pericolosi per gli effetti indesiderati che possono avere.
Non resta che invitare giuristi raffinati, grand commis d’état e altri che abbiamo competenza in materia a mettersi al lavoro, in queste settimane di “fermo” per abbozzare una legislazione di emergenza, E che anche questa legislazione non sia a puntate.