La constatazione che l’Italia non è immune al coronavirus, emersa con evidenza assoluta nelle ultime quarantott’ore, con contagi in varie regioni e con, purtroppo, i primi morti italiani mi induce a non parlare, per una volta, dei diritti dei cittadini.
Come ricorderanno i più fedeli tra i miei quaranta lettori, del coronavirus questa rubrica si era già occupata, evidenziando le problematiche giuridiche da affrontare per imporre, in uno Stato di diritto, la limitazione della libertà di movimento dei contagiati: (“Quarantena e diritti umani”, domenica 26 gennaio 2020).
Me ne ero occupato, quindi, sempre ponendo in primo piano i diritti dei cittadini ed augurandomi che la soluzione ad un problema non facile venisse trovato dalla politica e dal potere esecutivo e non, con effetti necessariamente repressivi, dal potere giurisdizionale.
L’arrivo dell’epidemia in Italia – evento da tutti paventato, ma facilmente prevedibile in un’era in cui tutti andiamo avanti e indietro per il mondo – mi ha fatto sentire all’improvviso come un componente dell’orchestra del Titanic, richiesto di continuare a suonare in un momento evidentemente tragico.
Prepotentemente mi è veniva in mente il motto latino del “primum vivere, deinde philosophari”, facendomi cancellare, nel sabato mattina che dedico a questo mio divertissement, qualsiasi altro argomento volessi trattare.
“Primum vivere”, quindi, riununciando spontaneamente per la prescritta quarantena – che le caratteristiche del coronavirus rendono per fortuna più breve, di quattordici giorni – alla libertà di movimento e sopportando una limitazione momentanea di alcune delle prerogative insite nel nostro essere cittadini.
Vi assicuro che tale volontà di rinuncia a diritti per i quali combatto quotidianamente mi ha alquanto sconvolto: né trovo consolazione nel riflettere che lo Stato di necessità e la situazione di pericolo sono ben previste nell’ordinamento, consentendo deroghe alle norme generali, legate alla contingenza vissuta.
Rinuncia individuale che, però, per essere veramente utile, deve trovare una sponda nel “sistema”.
Non è difficile riconnettere al Ministro Roberto Speranza – nonostante l’abisso ideologico che mi separa da lui – un’azione efficace da parte del Ministero della Sanità, con affiancamento e guida anche delle iniziative da assumersi in sede regionale e, soprattutto, per la sensazione di sicurezza e fiducia nel nostro sistema sanitario e nella sua capacità di intervento che ha saputo suscitare.
Si tratta di un riconoscimento della competenza politica e di una carriera lenta e maturata sugli scranni degli enti locali e nelle sezioni di partito, che lo differenzia da chi è “ministro per caso”: utile, comunque, quest’ultimo, per suscitare un momento di ilarità nella tragedia, con la sua pronuncia anglosassone del “coronavairus”.
Nella tragedia, però, ci dobbiamo augurare che vi siano ministri altrettanto competenti da affrontare con efficacia e senza demagogismi le conseguenze delle quarantene individuali e di quelle estese ad intere comunità e l’altro effetto di gravità generale derivante dal pericolo di epidemia che è il ristagno dell’economia – se non addirittura il suo blocco.
Ecco, la tutela della salute pubblica consiglia l’individuo a rinunciare momentaneamente a propri diritti. Ma tale rinuncia è nulla, se non addirittura impossibile, se non accompagnata da altre misure e moratorie, soprattutto nei settori fiscale, giudiziario e commerciale.
Occorre prefigurarsi fin d’ora lo scenario di crisi economica che solo la scienza con la scoperta veloce di un vaccino potrebbe evitare, ma che solo la politica può contenere.
Magari ridando regole semplici, chiare e certe – e con esse fiducia e sicurezza – a chi debba assumere iniziative urgentissime (ad esempio l’affitto immediato di una struttura per una quarantena) senza avere il timore di essere sindacato successivamente. Ma anche, più semplicemente, a chi debba tenere chiuso il suo bar o il suo ristorante.