domenica, 22 Dicembre, 2024
Esteri

Iran. Un’altra giovane vittima del regime teocratico

Ancora una giovane vita spezzata in Iran. Javad Rouhi, 35 anni, finito agli arresti per aver protestato contro il regime iraniano e condannato per tre volte a morte dal tribunale iraniano è morto. L’immagine del suo volto sgraziato dal respiratore ricorda a tutti quello di Mahsa Amini.
Anche lei entrata in prigione con le sue gambe e uscita in fin di vita. Donna Vita Libertà”, condannato a morte e detenuto nella prigione di Nowshahr.stato condannato a morte tre volte per il reato di aver
bruciato il Corano e distrutto proprietà pubbliche nel primo ramo del tribunale rivoluzionario di Sari. Nel marzo dello scorso anno, Majid Kaveh, avvocato di Javad Rouhi, annunciò la mancanza di prove a suo
carico. Quel che abbiamo noi è un video di un ragazzo che balla, che vuole vivere con pienezza e libertà la sua vita, gli unici pericolosi criminali sono coloro che massacrano questa gioventù e queste vite.

Secondo quanto riferito dalle pubbliche relazioni del ramo giudiziario, Javad Rouhi ha avuto un “attacco epilettico” nelle prime ore di giovedì ed è stato portato in un ospedale di Nowshahr, ma non è stato possibile
salvare la sua vita.

Majid Kaveh, l’avvocato del signor Rouhi, ha annunciato che la sua famiglia è stata informata della sua morte.

Un’ora prima dell’annuncio ufficiale, diversi attivisti per i diritti umani hanno annunciato sui social network la morte di Javad Rouhi e hanno accusato le autorità giudiziarie e di sicurezza di averlo  “ucciso”.

La causa della morte di Javad Rouhi non è ancora chiara e le pubbliche relazioni della prigione di Nowshahr hanno affermato che le telecamere a circuito chiuso della prigione e gli effetti personali di Javad Rouhi,
compresi i suoi appunti e le medicine, saranno esaminati e il suo corpo sarà inviato alla scientifica e al patologo per un’autopsia e un test tossicologico. Negli ultimi mesi si tratta della seconda morte di
manifestanti agli arresti. Attivisti per i diritti umani affermano che alcuni di loro sono stati uccisi a causa del comportamento scorretto degli agenti o in seguito alle torture e non si può non accogliere
questa denuncia, perché è ben noto e documentato il ricorso alla tortura da parte dei guardiani della rivoluzione e del sistema penitenziario in generale. Quando saremo stanchi? Quanti morti ancora dobbiamo contare perché i paesi cosiddetti civili intervengano con azioni concrete a garanzia della vita e del diritto a questa dei giovani iraniani? La tortura ci è stata dettagliata da diversi report di organizzazioni per i
diritti umani e dalla viva voce degli scampati a morte, per cui i pugni, i calci e l’uso di shock e colpi multipli per lungo tempo erano tra i metodi di tortura più semplici usati contro i prigionieri. Uno dei metodi più utilizzati era l’incubazione. In questo metodo, la persona viene appesa al soffitto con una catena mentre le sue mani e i suoi piedi sono legati da dietro. Per quanto riguarda gli imputati in questo caso, dopo averli appesi al soffitto, diverse persone hanno iniziato a picchiarli. Poi si ricorre agli stupri, sia di donne che di uomini.
Finché non viene estorta una confessione forzata, di terrore, oppure si muore. Anche per lui, il 16 marzo a Roma, a piazza dell’Esquilino alle 14 e Milano, in corso Venezia alle 16, si terranno due grandi
manifestazioni, in cui convoglieranno da tutta Italia cittadini iraniani e italiani per gridare insieme “donna, vita, libertà” e chiedere la fine della dittatura iraniana.

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