mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Cronache marziane

Ancora uno sciopero per la giustizia: sarà l’ultimo?

Dopo le recenti prese di posizione del Governo Meloni sulla giustizia, comunicate al Parlamento attraverso le dichiarazioni del ministro Nordio, avevamo ragione di ritenere che si sarebbe provveduto in tempi brevissimi a raddrizzare le storture dei metodi italiani di esercizio della potestà punitiva: metodi che sono peggiorati di anno in anno, a partire dall’entrata in vigore – nel 1989 –  di quel Codice di Procedura Penale che solo apparentemente avrebbe anche da noi introdotto il sistema “accusatorio”, in luogo di quello “inquisitorio”, di origine fascista.

Le parole del Ministro non sono sfuggite al Marziano, che mi ha perciò domandato se lo sciopero di tre giorni consecutivi, indetto – a far data dal prossimo 19 aprile – dall’Unione delle Camere Penali, fosse per ottenere un’accelerazione della riforma, oppure per contrastarla.

Generalmente, lo sciopero è uno strumento di protesta utilizzato per far sentire le proprie ragioni e avanzare le proprie richieste; e anche considerato un diritto, la cui pienezza è uno degli indici per valutare la democraticità di ciascun ordinamento; è noto però che Kurt, provenendo da un altro pianeta, ragiona secondo logiche diverse da quelle di noi terrestri e non riesce neanche a comprendere perché nessuno dei Governi succedutisi alla caduta della Prima Repubblica abbia mai provveduto ad attuare una riforma che molte forze politiche giudicano – da tempo – non più rinviabile per ottenere un funzionamento appena decente della nostra macchina giudiziaria.

Non sono stati sufficienti, per avvicinarsi a quel risultato, neanche le decisioni e gli indirizzi timidamente espressi dalla Corte Costituzionale a proposito di:

  1. a)diritti della difesa, con particolare riferimento al diritto di essere assistiti da un avvocato durante le indagini preliminari e a quello di accedere agli atti del procedimento penale;
  2. b)divieto di auto incriminazione, inteso come diritto di non testimoniare contro se stessi;
  3. c)presunzione di innocenza, che implica come l’imputato non debba dimostrare la propria non colpevolezza, ma sia il pubblico ministero a dar prova del contrario;
  4. d)equilibrio fra diritti fondamentali delle parti coinvolte nel processo penale, in particolare quello fra il diritto alla difesa dell’imputato e diritto della società alla tutela della sicurezza pubblica;
  5. e)durata dei processi, a termini del quale principio i procedimenti penali debbano concludersi entro un termine ragionevole, onde evitare che la loro lunghezza costituisca di per sé stessa una violazione dei diritti dell’imputato

non sempre però la giustizia ordinaria, spalleggiata dalla Corte di Cassazione, ha dato retta a quanto prescritto dal Giudice delle leggi, che è dovuto più volte tornare sui suoi passi anche solo per ribadire i propri indirizzi ed è comunque rimasto – alla fine dei conti – inascoltato.

Gli ultimi trent’anni sono stati poi caratterizzati da una costante riduzione delle risorse per la giustizia, né i Governi avvicendatisi in questo periodo hanno mai voluto seriamente affrontare il problema della separazione delle carriere fra inquirenti e giudicanti, o tanto meno le delicate questioni degli abusi compiuti durante le indagini preliminari in violazione dei diritti degli indagati e delle altre persone coinvolte in ciascun procedimento penale.

Si sono così moltiplicati i casi di arresti e detenzioni alla fine rivelatesi completamente ingiustificate, degli interrogatori coercitivi, dell’accesso illegittimo ai dati personali e della utilizzazione in modo improprio dei poteri attribuiti – magari solo implicitamente – agli inquirenti.

Dal canto loro, le organizzazioni territoriali che rappresentano gli avvocati penalisti in Italia continuano inutilmente a protestare contro la detenzione di colleghi, o anche solamente per chiedere maggiori misure di protezione per quelli che operano in aree ad alto rischio; né hanno voluto sottacere la pericolosità di alcune dichiarazioni attraverso le quali qualche dirigente di Procura ha tentato di giustificare i propri eccessi, affermando che – almeno nelle zone ad alta densità criminale – il coinvolgimento di innocenti nell’irrogazione di misure cautelari personali e patrimoniali è fenomeno inevitabile.

Assordante si è infine rivelato il silenzio del Consiglio Superiore della Magistratura su altri inaccettabili abusi, che costituiscono pure violazione dei diritti umani fondamentali: si pensi – per tutti – ai divieti di presenza degli indagati di fronte ai Tribunali del riesame, nonostante le condanne già subite, sul punto, dalla Repubblica Italiana ad opera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (v., CEDU, Somogyi c./Italia, 18.5.2004 § 65 e Sejdovic c./Italia,G.C., 1.3 2006, § 81, cit.  in “Commentario Breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, Padova, 2012, 202).

Sorprende dunque il silenzio che la grande stampa sta riservando a questo sciopero: quella stessa stampa pronta a scatenarsi – spesso proprio su suggerimento di quelli che indagano – nei confronti di malcapitati ai quali gli avvocati difensori tentano di spiegare (non credendoci però neanche loro) che le indagini che li vedono coinvolti altro non sono che il doveroso frutto dell’obbligatorietà dell’azione penale, prevista dalla nostra Carta Costituzionale.

Questo sciopero rappresenta dunque l’estremo tentativo di raddrizzare un mondo alla rovescia: quello della giustizia penale italiana.

Legittima appare perciò la domanda del Marziano, al termine del nostro confronto: ma Tu sei proprio sicuro che lo sciopero potrà contribuire a cambiare le cose?

Sicuro certamente no; ma non si può evitare di spingere gli avvocati penalisti ad aderire compatti a questo sciopero, almeno per tentare di ottenere un minimo miglioramento rispetto a quello che accade ogni giorno nei nostri Tribunali in danno dei diritti degli indagati, degli imputati e – in fin dei conti – di tutti i cittadini italiani.

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