Non chiamatela pace, se accetta che siano violati i diritti delle persone e dei popoli, sanciti dalla Carta dell’Onu e dal Diritto internazionale.
Non chiamatela pace, se è costruita sulla pelle della vittima e concede vantaggi al carnefice.
Non chiamatela pace, se stabilisce il principio che chi invade un Paese ha diritto di fare quello che vuole impunemente e di trattare, poi, da posizioni di forza.
Non chiamatela pace, se è basata sulla paura che l’aggressore possa ulteriormente abusare della sua potenza distruttrice.
Tutto questo non è pace.
E’ una legittimazione della sopraffazione.
Un trionfo della prepotenza contro il diritto.
È un atto di vigliaccheria.
Una resa immorale e irresponsabile che confligge con la civiltà che abbiamo costruito dopo le due sanguinose guerre mondiali.
È un oltraggio anche alle basi della religione cristiana.
Invocare la pace non può essere uno slogan ad effetto, un espediente per sentirsi con la coscienza a posto o, peggio, un alibi per fuggire dalle proprie responsabilità.
Nessuna pace può chiudere un occhio sulla violazione della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale di uno Stato membro dalle Nazioni Unite.
Costruire la pace significa guardare in faccia alla cruda realtà, battersi senza se e senza ma per il rispetto dei principi umani e della convivenza civile internazionale.
Chi vuole la pace non consideri il diritto alla difesa un abuso.
Se le armi servono a difendere chi è stato aggredito, quelle armi servono alla pace perché riequilibrano i rapporti di forza, presupposto per una trattativa senza umiliazioni.
Non concedere vantaggi a Putin è l’unico modo che abbiamo per riannodare un dialogo con la Russia e farla tornare amica dell’Europa. Se invece il nazionalismo incendiario dello zar avrà la meglio non ci sarà pace. Nessun Paese europeo si sentirà sicuro e allora tutto potrà succedere, anche il peggio. Che i pacifisti a buon mercato pensano di scongiurare mettendosi le bende sugli occhi.