Sardine in Italia, gilet gialli a Parigi, ragazzi per protestare venerdì verdi in tutto il mondo sull’onda di Greta, manifestanti anti-Cina a Hong Kong, qualche assembramento contro Putin anche a Mosca, i giganteschi cortei anti Brexit a Londra, mobilitazioni per cacciare Maduro in Venezuela, milioni in piazza in India contro le misure “razziste” di Narendra Modi e via di questo passo.
Ovunque nel mondo il 2019 è stato l’anno in cui le piazze, in gran parte spontanee si sono mosse per esprimere una voglia di partecipazione che da anni non conoscevamo con tanta intensità e con così poca ideologia.
Periodicamente gli analisti della società cercano di appiccicare l’etichetta di “nuovo Sessantotto” a fenomeni sociali di protesta. Ma la storia non si ripete, come le classificazioni di certa sociologia cattedratica e mediatica. Ogni evento ha una sua originalità.
Tentare di ridurre ad un ‘unica identità ciò che è successo nelle piazze è una forzatura. Se si eccettuano le manifestazioni per l’ambiente, i contenuti sono i più disparati, i contesti in cui le varie piazze si sono popolate di manifestanti sono diversi, le motivazioni risentono di situazioni particolari.
L’unico elemento comune è il desiderio di esprimersi al di fuori dei canali tradizionali dei partiti, senza mediazioni e con la voglia di sfidare governi e potentati di ogni genere.
A parte l’uso della violenza, che è stata la caratteristica dei gilet parigini e di alcune degenerazioni ad Hong Kong, gran parte di queste manifestazioni sono state pacifiche.
Che lezioni si possono trarre? Innanzitutto che la politica, a tutte le latitudini, non è in grado di monopolizzare la rappresentanza e che la gente ha bisogno di esprimersi autonomamente. È la fine della politica e dei partiti? No, ma è il segnale che la distanza tra ciò che le collettività sentono e ciò che le mediazioni politiche e partitiche esprimono si è ampliata.
Il secondo insegnamento è che la gente riesce a trovare il modo di uscire dal proprio “privato” in nome di interessi collettivi e non si sente prigioniera di nessun rituale ordinato da altri. È un’esplosione di spontaneità proprio mentre il populismo crescente di certi partiti vorrebbe imporre una mobilitazione imposta dall’alto e volta a creare una “claque” per i potenti di turno. Manifestazioni spontanee di popolo sono il vero sano antidoto al populismo.
Il terzo insegnamento è che i social network sono un’arma a doppio taglio: i manipolatori del consenso tentano si usarli a proprio vantaggio, e a volte ci riescono, ma non possono mai controllarli del tutto, sicché gli stessi social network finiscono per diventare un canale di espressione di libertà e grandi facilitatori di mobilitazioni di massa incontrollabili.
E questa, forse, è la notizia più bella.
Speriamo che nel 2020 continui a svilupparsi questa onda rinfrescante di piazze libere, liberanti e liberatorie: la partecipazione è il sale della democrazia e fin quando le persone riusciranno a riunirsi per dire la loro, senza violenza e senza farsi strumentalizzare avremo anticorpi capaci di annullare o ridurre lo strapotere di élites cristallizzate di potere senza creare caos –
I governanti di tutto il mondo sono avvisati: potete provare a prendere in giro le persone con fake news, a inventarvi troll e generatori di falsi profili, ma non riuscirete a impedire che il seme della libertà proliferi spontaneamente al di fuori dei controlli vostri e dei proprietari dei social.
Parafrasando Marx potremmo dire: “piazze di tutto il mondo unitevi”.