Con il congresso, celebrato sulla base di un rituale sommariamente democratico, all’Hotel Da Vinci, la Lega che fu di Umberto Bossi, federalista e a tratti anche secessionista, ha cambiato pelle. Salvini l’ha definitivamente trasformata in un partito che non si radica solo nell’immaginaria Padania, abbandonando non solo ogni velleità secessionista ma anche le rivendicazioni federaliste che, nella versione salviniana, appaiono molto annacquate.
La scelta di Salvini si è dimostrata vincente: ha preso un partito ridotto al 3% e l’ha reso protagonista della politica italiana.
La mutazione genetica era necessaria. Sebbene in Europa riprendano fiato forti aspirazioni secessionista, come in Catalogna e in Scozia, in Italia questa ricetta non è mai stata un’opzione concreta.
Non c’è identità storica e linguistica nella cosiddetta Padania tale da poter giustificare aspirazioni alla separazione dall’Italia. Il forte regionalismo che è stato impresso alla nostra Costituzione con la modifica del titolo V a fine degli anni novanta ha creato enormi problemi e disparità territoriali ma ha dato alle pulsioni localistiche un sufficiente sfogo capace di rendere la secessione o il federalismo spinto non auspicabile.
Le recenti richieste di maggior autonomia, avallate da referendum, nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna non hanno coloritura politica e mirano ad amplificare ciò che è già presente nell’attuazione confusa divisione di competenze tra lo Stato e le Regioni.
Salvini ha, da tempo, messo in soffitta i suoi slogan pesantemente offensivi verso il Sud e contro il Tricolore e ha scelto di dare alla Lega un’identità perfino opposta a quella di Bossi: da secessionista e federalista, il Carroccio guidato da Salvini è diventato non solo un partito nazionale ma anche – e soprattutto – nazionalista.
Una Lega nazionale è un passo in avanti positivo. una Lega nazionalista è invece un’avventura pericolosa che mira ad isolare l’Italia dal contesto europeo e a rinfocolare umori che minacciano lo stesso modello di democrazia cui siamo dal 1946 abituati.
Il nazionalismo di Salvini è sicuramente un espediente per raccogliere voti e aizzare gli animi contro nemici fabbricati su misura (l’Europa, i migranti) per alimentare quelle pulsioni irrazionali di cui ha bisogno chi cerca i “pieni poteri” e chi si sente più di casa a Mosca che non in Europa.
Non sappiamo su quali testi si sia nutrita la cultura politica del Salvini 2, ma di certo il suo nazionalismo non è solo un modo per raccattare voti ma è una strategia a suo modo secessionista.
Salvini vuole la rottura dell’Europa e l’uscita dell’Italia dal contesto delle democrazie occidentali.
Nulla di quanto detto e fatto da Salvini negli ultimi 5 anni è stato casuale. Il disegno del leader leghista è lucido e punta a staccare l’Italia dal contesto delle democrazie occidentali e ad avvicinarla a modelli autoritari che trovano nel nazionalismo il concime più fertile per far crescere il risentimento, l’intolleranza, l’odio in nome di un’idea di nazione antiquata e reazionaria che non ha nessuna base su movimenti di idee ma si alimenta solo di paure e di fallaci illusioni.
L’Italia non è l’Ungheria, non è la Polonia. L’Italia è stata artefice dell’Europa e protagonista della storia del dopoguerra. Un’Italia nazionalista e fuori dall’Europa sarebbe invece la provincia di altri imperi che hanno storie e tradizioni diverse da quella italiana.
L’Italia non la potenza degli Stati Uniti e non può permettersi il lusso -ammesso che sia tale e che funzioni nel lungo termine- dell’isolazionismo.
La Lega nazionale è una saggia scelta. La lega nazionalista è un errore grave che può fare solo del male all’Italia.