Quando piove siamo bombardati dall’acqua: città allagate, fiumi che invadono strade e terreni, montagne che si sciolgono in fango che distrugge viadotti e case.
Quando si scatenano temporali violenti le trombe d’aria sono diventate di casa come se fossimo nelle praterie del Midwest.
Quando soffia il vento la sua velocità è spesso vicina a quella devastante degli uragani, gli alberi cadono come birilli e a volte uccidono.
Quando il mare si ingrossa supera quasi sempre il livello di burrasca per diventare fortunale e cancellare coste e porti.
Quando nevica si accumulano metri di coltre bianca che non appena sale la temperatura diventano valanghe assassine.
Quando arriva l’acqua alta a Venezia la laguna sommerge tesori d’arte sopravvissuti per secoli e ora
Quando il sole dardeggia l’estate, ci lessiamo a temperature da deserto.
Quando le nuvole abbandonano il cielo per mesi, la siccità devasta mezza Italia.
E si potrebbe continuare all’infinito.
Qualcuno non crederà ai cambiamenti climatici, ma l’evidenza dei fatti è inoppugnabile. È vero che fenomeni estremi ci sono sempre stati ma erano l’eccezione; adesso sono la regola.
I danni per le persone, per l’ambiente, per l’economia e per la serenità delle collettività sono ingenti e spesso non quantificabili.
Che fare? Ovviamente è necessario intervenire con urgenza per frenare la carbonizzazione dell’atmosfera e contribuire a ridurre l’innalzamento delle temperature del nostro pianeta. L’Italia su questo terreno non è indietro: abbiamo molta produzione di energia pulita anche se le nostre città sono asfissiate dagli scarichi velenosi di un numero eccessivo di veicoli, molti dei quali inquinanti, e dall’uso sconsiderato del riscaldamento centralizzato, con enormi sprechi di calore, di soldi e dispersione di fumi.
Ma la salvezza del pianeta, purtroppo, richiede che tutti i principali Paesi del mondo condividano gli impegni per raggiungere un obiettivo comune. Il fallimento della recente conferenza COP 25 a Madrid non lascia ben sperare.
Facciamo dunque il nostro dovere per salvare l’ambiente, ma questo non basterà a proteggerci nei prossimi decenni dai disastri che abbiamo descritto e che rischiano di accentuarsi.
È quindi necessaria una politica di “contenimento” delle conseguenze provocate da questi fenomeni naturali che sfuggono al controllo umano.
E qui, duole dirlo, il nostro Paese sembra essere senza idee e senza alcun pensiero di pianificazione strategica di interventi.
Andiamo con ordine. Avendo l’Italia ben 8 mila chilometri di coste, la loro protezione dovrebbe essere una priorità. Ma esiste un piano di difesa nazionale dalla violenza delle mareggiate e dall’erosione dei litorali? Non pare. Stato e Regioni dovrebbero mettersi intorno ad un tavolo e programmare la costruzione di barriere non deturpanti ma efficaci per frenare la potenza delle onde ed impedire la distruzione di porti, arenili e stabilimenti balneari.
E che dire di fiumi e torrenti i cui alvei spesso sono delle discariche che intralciano il passaggio delle acque? Non esiste una politica nazionale di risanamento dei corsi d’acqua e di predisposizione di argini per evitare esondazioni. Basti pensare a Roma..il cui Tevere, in caso di pioggia intensa per 4-5 giorni consecutivi rischia di esondare a Ponte Milvio.
Su Venezia c’è solo da provare vergogna: un Paese che ha una perla unica al mondo e che né ultima in il Mose né ripulisce i canali né li scava per abbassare il livello della laguna nella città.
E contro gli eventi di siccità? Esiste un piano di costruzione di dighe e invasi per accumulare le acque da utilizzare quando smette di piovere per lunghi periodi?
Per dirla in breve, l’Italia ha una estrema fragilità del suo territorio e delle sue coste ed è il Paese più esposto ai cicloni mediterranei sempre più violenti. Dovrebbe dotarsi di una politica di rimedi estremi e urgenti per fronteggiare questi fenomeni e adottare procedure di comportamento standardizzate, come avviene nei Paesi che convivono con le tempeste tropicali e gli uragani.
Ma nulla di tutto questo occupa il dibattito politico. Le uniche tempeste che appassionano giornali e politici sono quelle che si svolgono in un bicchiere d’acqua, quello del cicaleccio e delle manovrine di basso cabotaggio.