L’Italia dei porti è una storia di declino, di strutture obsolete, di traffici che vengono dirottati altrove, il caso di Gioia Tauro è l’emblema di ritardi ed errori. Poi c’è il “nanismo” degli scali marittimi, con pochi impianti, con fondali inadeguati, con poche infrastrutture per la movimentazione delle merci. “Come equilibristi sospesi nel vuoto, in bilico costante su una fune che si assottiglia sempre di più”, scrivono i ricercatori di portnews, che sottolineano la precarietà di azione degli scali marittimi, Per l’avvocato marittimista Andrea La Mattina, infatti, è questa la situazione nella quale si trovano a vivere oggi i presidenti delle Autorità di Sistema Portuale, sommersi da continue inchieste giudiziarie e “costretti a operare su un crinale pericoloso, tra il rischio di commettere reati senza neanche accorgersene e la necessità di favorire a ogni costo lo sviluppo dei terminali portuali italiani a dispetto di competitor agguerriti”. La Mattina, che è professore di Diritto della Navigazione dell’Università di Pisa, è convinto dei problemi che assediano i porti italiani come la difficoltà nel muoversi nelle pastoie delle leggi italiane, “equilibrismo” pericoloso e difficile. “Mentre gli scali di altri Stati dell’Unione Europea si stanno gradualmente trasformando in development organization in grado di operare secondo regole che hanno l’effetto di consentire azioni commerciali al pari di una qualsiasi impresa privata, le Autorità Portuali italiane – coerentemente con la propria natura di ente pubblico non economico – svolgono esclusivamente attività di natura amministrativa in un contesto disciplinare a volte confuso”.
In questa situazione difficile e precaria due porti però brillano e avranno un florido futuro, quello di Genova per la sua posizione geografica strategica, e quello di Trieste per la profondità dei suoi fondali, a dare una mano ai due scali italiani saranno però i cinesi che si metteranno a disposizione delle autorità portali e delle imprese per dire come e dove ampliare i porti. È uno degli effetti dell’adesione dell’Italia alla nuova “Via della seta” cinese. Con la “Belt and Road Initiative”, (Bri), i porti di Genova e Trieste sono diventati il punto di arrivo della linea immaginaria che collega la Cina all’Europa via mare. Ed ecco che tra i 29 accordi commerciali firmati tra Roma e Pechino, infatti, alcuni riguardano in modo specifico proprio i due scali italiani.
La China Communications Construction Company (Cccc), colosso delle costruzioni cinese specializzato nella realizzazione di infrastrutture, aiuterà le due Autorità portuali nella gestione delle gare d’appalto per dei lavori di ristrutturazione e potenziamento logistico. “Secondo le autorità italiane è un’occasione per il rilancio dell’economia del mare nazionale, così come è avvenuto in Grecia dopo l’acquisizione nel 2016 del porto del Pireo da parte di Cosco, un’altra grande società cinese”, spiega in un dettagliato report l’Agi, in cui si evidenziano anche i limiti delle strutture e infrastrutture della maggior parte degli scali italiani.
Confinati in dimensioni piccole e medie, quindi fuori la competizione globale del traffico merci che sempre più vive di macro dimensioni, tanto che oggi a solcare i mari internazionali ci sono mega imbarcazioni, tanto che si parla di “Gigantismo navale”. Tuttavia l’Italia perde terreno anche nei traffici a breve raggio, settore dove il Paese era leader incontrastato ma oggi deve accontentarsi di subire la concorrenza della Spagna e del Nord Africa. A mettere in crisi anche questo tipo di scambi, ancora una volta sono i limiti di infrastrutture obsolete e problemi tecnici come i fondali bassi. Tornando al patto tra Genova, Trieste e Pechino, l’accordo commerciale e di sviluppo firmato dalla società edile cinese Cccc aiuterà l’Autorità Portuale di Genova nella gestione delle gare d’appalto per la costruzione di un nuovo terminal container, adatto a cargo superiori a 20 mila Teu (unità di misura del volume dei container). Prima di agire sul terminal sarà necessario spostare la diga foranea che protegge la città a 500 metri dalla costa.
La distanza di 160 metri a cui è oggi, infatti, non permette il passaggio dei mega vascelli. Il progetto ha da un lato causato alcune proteste per le emissioni che queste mega navi porteranno alle porte della città, ma dall’altro lato rappresenta il tentativo di Genova di rimanere un porto competitivo nel Mediterraneo. Lo scalo di Trieste, invece, è l’unico in Italia a godere in modo naturale di fondali piuttosto profondi. Qui, la Cccc insieme all’autorità del porto e a Ferrovie dello Stato si occuperà di potenziare la rete ferroviaria della zona portuale, intervenendo sulla piattaforma di Servola e di Aquilinia, con la possibile costruzione di alcune stazioni.
Il progetto in questo caso del tutto logistico si chiama Trihub e punta a rafforzare il legame ferroviario che Trieste ha già con il resto d’Europa. Il porto a differenza della maggior parte degli scali italiani può vantare collegamenti diretti sia con nord della Germania che con l’est Europa. “Motivo per cui è finito nel mirino di Pechino e potrebbe diventare l’hub strategico per il passaggio delle sue merci al nord”, si fa presente nel report della Agenzia.
L’Italia ha 57 porti di carattere nazionale, raggruppati in 15 zone chiamate Autorità di sistema portuale. Tre o quattro porti di una zona condividono oggi la stessa gestione. La classifica in base alle tonnellate di merci movimentate negli ultimi anni vede lo scalo di Trieste al primo posto, seguito da Genova e Cagliari. A chiudere i primi dieci posti è Napoli.secondo dati di Studi e Ricerche per io Mezzogiorno (un centro di ricerca finanziato da Intesa San Paolo) condivisi anche da Assoporti, l’Italia è la terza potenza marittima in Europa, dopo l’Olanda e il Regno Unito. Il terzo posto diventa sedicesimo se invece della quantità di merce movimentata si prende in considerazione il Liner Shipping Connectivity, un indice usato nel contesto internazionale per misurare la connettività marittima. In base a questa misurazione, nel mondo dominato dalla Cina, l’Italia è diciannovesima. C’è un settore dove il Paese ha ancora un ruolo di primo piano, ed è il servizio, per le navi Ro-Ro (21%), di cui detiene la flotta meglio attrezzata del mar Mediterraneo.
I Ro-ro sono i traghetti, ossia delle navi dotate di portelloni che si abbassano fino alla banchina per permettere a mezzi gommati di salire (roll-on) e scendere (roll-off) autonomamente. “La posizione dello stivale al centro del Mediterraneo ha giocato un ruolo chiave per lo sviluppo di questa attività. L’Italia intercetta, infatti, le cosiddette ‘autostrade del mare’ i tragitti percorsi dagli autotreni sia in direzione est-ovest dai Balcani all’Atlantico sia nella tratta nord-sud verso l’Africa”. I Ro-ro non conoscono crisi è il loro ruolo è in costante crescita. A registrare, invece, il dato meno entusiasmante sono stati proprio i container.
I volumi sono rimasti sostanzialmente invariati intorno ai 10 milioni di Teu, una soglia bassa che taglia fuori l’Italia dal grande giro del traffico merci. Eppure all’interno dei container viaggia il 38% del nostro import-export. I Paesi con cui abbiamo l’interscambio commerciale marittimo maggiore sono gli Stati Uniti, la Cina, la Turchia e l’India. Ma solo nel primo caso la bilancia commerciale è positiva, negli altri tre le importazioni superano le esportazioni.