Ancora un tonfo per la produttività che fa perdere ogni speranza di una prossima ripresa. Frenano l’occupazione, le previsioni di sviluppo e il Prodotto interno lordo. Il”Male Oscuro” dell’economia Italia torna a farsi sentire pesantemente e con gli aggiornamenti dei dati Istat pubblicati nei giorni scorsi si torna a parlare di nuovi allarmi sul futuro dell’economia sempre più in affanno. Temi urgenti che per molti analisti sono accuratamente rimossi dal dibattito politico alle prese con baruffe di ogni tipo.
La produttività del lavoro, illustra l’Istat è scesa a -03% mentre nel 2017 era salita del 1.3%. Un rallentamento non solo per l’industria ma per settori vitali come la sanità che fa segnare un dato preoccupante con un -4.5%, così come sono scese le attività professionali e il terziario. Il tutto in un solo anno.
Una bassa produttività significa una scarsa capacità di crescere perché le aziende sono intrappolate in strategie vecchie, non riescono, ad esempio, a combinare fattori virtuosi come fare investimenti in innovazione tecnologica, in nuove idee, aggiornare l’organizzazione del lavoro, della ricerca, a offrire una maggiore soddisfazione delle maestranze. La crisi produttiva porta non solo ad una crescita stentata ma a salari più bassi, a lavori precari, a imprese che non riescono a competere. In queste condizioni pensare ad un salto per allinearsi alle imprese del nord Europa appare di anno in anno una missione impossibile.
Le ultime stime Ue dicono che siamo scivolati nel 2019, ultimi in classifica, anche dopo la Grecia. E stiamo ulteriormente peggiorando. C’è tuttavia da chiedersi, è solo colpa delle imprese, di imprenditori poco accorti e scarsamente inclini alle novità? Oppure c’è un sistema Italia alle corde? L’Italia, più volte si è detto, non è un paese per fare impresa, creare una attività imprenditoriale è sempre più difficile, la burocrazia frena ogni slancio, le imprese sono gravate dal peso enorme di incombenze che frena ogni idea di sviluppo e innovazione; c’è poi il problema dell’accesso al credito, che come indicano gli ultimi rapporti di Bankitalia è difficile per le piccole e medie imprese, che subiscono la “stretta” delle banche, la situazione per le pmi è delicatissima. Cresce il debito e aumentano i fallimenti. La difficoltà di fare impresa viene segnalata anche dalla Banca Mondiale, e l’Italia ora è fuori i 50 paesi dove è possibile fare business colpa della tassazione elevata (siamo al 118 posto al mondo), e al 112 per accesso al credito. Nel girone dei Paesi che contano siamo ultimi. Otre alle difficoltà di burocrazia e credito, c’è poi la frammentazione del tessuto produttivo, con una enorme presenza di mini aziende mentre il mondo globale prevede sfide tra giganti.
L’eccessiva presenza di imprese di proprietà famigliare, sono spesso un freno per l’innovazione e la competitività. In più ci sono le difficoltà ancora più endemiche, come il clientelismo, la corruzione, l’inefficienza del settore pubblico, con i ritardi della Pubblica amministrazione, e un sistema giudiziario di una lunghezza e incertezza straordinarie. L’elenco di ciò che frena la produttività è ancora molto lungo, c’è ad esempio da segnalare il disallineamento tra i percorsi di studio scelti dai ragazzi (i laureati in scienze sociali sono il doppio di quelli delle aree scientifiche, economiche e tecnologiche) e le esigenze del mercato del lavoro. Tanto che non c’è incontro tra domanda e offerta di lavoro.
C’è poi la “fuga dei cervelli” altro fenomeno che penalizza e di non poco la crescita della produttività. Ci sono lavoratori sotto-qualificati per le posizioni richieste, mentre ci sono altri che sono sovra-qualificati per gli incarichi invece richiesti. Un circolo vizioso che porta a livelli salariali bassi, e poco qualificati. Naturalmente non tutta l’Italia ha gli stessi problemi. Le divergenze ci sono con il Sud penalizzato, con aree del nord più produttive dove ci sono processi di innovazione che hanno avuto successo. Per il resto le “carenze strutturali” come la digitalizzazione dei processi e gestione produttivi hanno trascinato l’Italia talmente in basso da gareggiare con paesi come Bulgaria, Romania, Grecia. E siamo penultimi se si considera l’utilizzo di internet e ultimi per la lettura di notizie online. Invertire la rotta è possibile, ma le “ricette” sono anche discordanti. C’è anche chi rovescia il ragionamento, come ad esempio, la bassa produttività è legata al precariato che si è imposto nel mercato del lavoro. Più precari quindi meno innovazione, meno ricerca e sviluppo. Con lavoratori sempre meno impegnati, e imprese sempre meno pronte a intercettare i motivi di sviluppo.