Dietro le difficoltà di dialogo tra Azione e il Partito democratico non c’è solo un contrasto tra leader, c’è anche un problema reale che riguarda tutti gli schieramenti.
La legge elettorale mista, maggioritaria e proporzionale, obbliga i partiti a fare i salti mortali.
Da un lato, ciascun partito vuole presentarsi agli elettori con le proprie idee e rivendicare la titolarità di battaglie identitarie. Dall’altro, le forze politiche che si devono coalizzare per spuntarla nei collegi uninominali, e che si candidano così a governare insieme, devono armonizzare i loro programmi e quindi devono effettuare delle rinunce.
L’operazione è tutt’altro che semplice.
Un partito si impegna nei collegi uninominali a promuovere un programma di coalizione, rinunciando ad alcune battaglie identitarie. Lo stesso partito nei collegi plurinominali, dove si presenta da solo, racconta agli elettori un altro programma, più ricco, e sa in partenza che non potrà realizzarlo perché il programma della coalizione è più ristretto… Insomma non è proprio il modo più corretto per conquistare il consenso. Ma tant’è.
Nel centrosinistra le divergenze sul programma non sono poche. Calenda, che vuole proporsi come leader nuovo e diverso dagli altri, non è disposto né a compromessi eccessivi né a sostenere in coalizione personaggi e partiti politici che ha sempre anche aspramente criticato. Il ragionamento di Calenda ha una sua logica: se Azione si mette insieme a partiti dei cui programmi non condivide parti consistenti rischia un doppio danno: perde voti e quindi di non è utile alla causa della vittoria nei collegi uninominali e non conquista consensi neanche nei collegi dove vige il proporzionale.
Nel centrodestra le difficoltà sono minori perché i partiti sono solo tre. Ma la tentazione di insistere su battaglie identitarie, soprattutto da parte di Salvini, è forte. Molto dipenderà dal leader di fatto della coalizione, Giorgia Meloni, che dovrà mediare senza annacquare il programma comune. D’altronde, in caso di vittoria, toccherà a lei metterci la faccia quando indicherà chi dovrà guidare il governo.
La soluzione? Superare leggi elettorali ibride e complicate che non garantiscono risultati chiari e obbligano i partiti ad essere più ambigui del solito.