Il comparto idrico rappresenterà una delle prossime emergenze italiane e per l’acqua serve un piano d’emergenza come quello strutturato per l’energia.
“Purtroppo l’Italia sembra affetta da un’incapacità all’azione se non di fronte a una crisi. In Israele, come Bei avevamo partecipato alla costruzione di dissalatori per 750 milioni di metri cubi che significa servire un’area di una decina di milioni di persone”. Lo dice Dario Scannapieco, Ad di Cassa Depositi e Prestiti.
“Una operazione che si potrebbe fare anche in Italia ma quando si hanno 2500 operatori, e di questi l’83% sono in economia (pubblici ndr) che hanno una capacità di investimento ridotta e l’altro 17% sono di piccole dimensioni è difficile intervenire e impedire che il 42% dell’acqua vada sprecata. Gli acquedotti hanno un’età media tra i 35 e i 40 anni. Gli ultimi invasi sono stati costruiti negli anni Sessanta”, osserva l’Ad.
“Si può fare moltissimo basta avere un approccio non ideologico e pragmatico. Chiediamoci perché in Italia investiamo 49 euro pro capite nel settore, mentre in Europa la media è più del doppio. Perché non si è fatto con l’acqua quello che è stato fatto con l’energia”. Secondo l’Ad di Cdp “per certi versi sono la stessa cosa. Si devono avere una governance chiara, una regolamentazione efficace e innovazione. Così come nell’energia, anche con l’acqua si deve sapere quale è la direzione, quale è la remunerazione per gli investitori. E questo potrebbe favorire anche l’innovazione”. “abbiamo individuato 10 aree di azione dalla transizione energetica alla salvaguardia del territorio, all’economia circolare e al digitale. Ma soprattutto abbiamo indicato un metodo di azione”, conclude Scannapieco.
Fonte foto: Imagoeconomica