La calura di questi giorni – unita alle sorprendenti dichiarazioni di Enrico Letta sulla necessità di finalmente abbattere la pressione fiscale nel nostro Paese e alla polemica scissione dei gruppi parlamentari 5 Stelle – ha spinto me e Kurt a trasferire le nostre discussioni dalle quattro mura in cui si erano finora svolte ad un tavolino di Villa Borghese (più esattamente del Pincio): luogo particolarmente caro al Marziano, perché è lì che atterrò – circa settant’anni orsono – con la navicella del suo primo viaggio a Roma ed è ancora lì che tutto rimane esattamente uguale rispetto ad allora, pur avendo il Marziano una cognizione del rapporto spazio/tempo diversa da quella di un abitante del pianeta Terra.
Così – mentre assistevamo al passaggio delle fiotte di turisti che credevamo ormai inghiottite dalle quarantene del Covid – Kurt mi ha chiesto di spiegargli ragioni per cui, in questi giorni, ha potuto assistere al riposizionamento dei partiti politici italiani lungo l’asse destra-sinistra e soprattutto in che cosa questi due termini, tradizionalmente oppositivi, consistano.
Ho dunque raccontato al Marziano che l’origine di quella dicotomia risiede nella consuetudine di ogni Parlamento, secondo la quale a destra dovrebbero sedere gli eletti correntemente denominati “conservatori” e a sinistra quelli indicati invece come “riformisti”: si tratta, ovviamente, di due sintesi definitorie che – come tutte le sintesi – portano con sé notevoli margini di ingannevolezza.
La parte più complicata della mia ricostruzione è stata però quella relativa agli instabili valori che si celano dietro quelle due definizioni: un’instabilità aggravata dalla difficoltà di individuare le materie del contendere rispetto alle quali taluni degli eletti si battono per la loro conservazione e talaltri, invece, per la loro riforma.
Ragioni storiche e questioni contingenti si intersecano poi per complicare un modello apparentemente così semplice, anche se non sempre tali ragioni e questioni vengono appieno percepite nei loro significati (ed anche nelle loro conseguenze) da chi se ne dichiara portatore.
A quelle complicazioni si aggiungono poi gli interessi personali dell’uno o dell’altro eletto, anche se simili interessi debbono essere nascosti agli elettori: che altrimenti scoprirebbero come i loro rappresentanti non vadano in Parlamento con l’obiettivo di risolvere i problemi della collettività, ma piuttosto con quello di facilitare la soluzione dei propri, personali, problemi: non a caso – ho aggiunto – la scintilla scatenante la scissione del primo gruppo parlamentare dell’attuale legislatura (appunto quello del Movimento 5 stelle) è stata quella del mancato superamento del divieto di ricandidarsi al termine di un secondo mandato, che Beppe Grillo aveva posto alla base del suo partito/non partito.
Kurt mi ha chiesto allora se, per risolvere questo problema, non sarebbe stato sufficiente spostare i parlamentari di quel gruppo dalla zona sinistra (riformisti) alla zona destra (conservatori) delle due aule di cui il nostro Parlamento si compone; Egli ha anche aggiunto che – sbirciando fra le cronache politiche nostrane degli ultimi anni – non sarebbe stata la prima volta che, nel corso di una stessa legislatura, un eletto collocato a destra si è alzato per ricollocarsi a sinistra e viceversa.
Mi è risultato piuttosto difficile spiegare al Marziano che la collocazione da una parte dall’altra dell’aula è più frutto di consuetudine, che di vincolo del mandato, ma il mio annaspare attorno alle regole della procedura parlamentare è miseramente naufragato di fronte alla seguente domanda: a cosa servono e quanto sono estesi gli spazi riservati ai seggi che, posti al centro dell’aula, si interpongono fra destra e sinistra?
Ho così dovuto spiegargli che anche il dibattito politico di questi giorni tende a radicalizzare le posizioni che – nell’ambito di ciascun Gruppo – siano considerate, dai suoi aderenti, maggiormente attrattive dei voti necessari al ritorno sullo scranno, piuttosto che finalizzate ad offrire le soluzioni necessarie per aumentare il benessere degli elettori.
Mi resta però una speranza: la forte riduzione del numero dei parlamentari, che si manifesterà nella prossima legislatura, imporrà necessariamente un cambio in quelle abitudini, anche perché sarà molto più difficile essere eletti.
Allora, forse, la tradizionale distinzione fra destra e sinistra perderà definitivamente senso in favore di scelte equilibrate che, nel linguaggio politico della vecchia DC, venivano definite come tendenti al centro degli schieramenti politici che usavano contrapporsi per le ragioni più diverse, anche se non sempre trasparenti.
Poi arrivò la stagione di “Mani Pulite” – attraverso la quale i giudici tentarono di imporre la trasparenza ad ogni costo – e tutti sappiamo quello che accadde: non sappiamo però, ancora, quello che accadrà.