Nel momento in cui andiamo in macchina la Delega al Governo sulla Riforma Fiscale non è ancora nemmeno andata in assemblea alla Camera dei Deputati, per cui anche la revisione del Catasto resta “sub iudice” seppur nella riformulazione che è venuta fuori sull’art. 6 dal pressing e dalla minaccia di non votare la riforma da parte di tutto il Centrodestra.
Il nuovo testo dell’articolo “incriminato” – come noto – ha trovato un accordo che praticamente accontenta tutti, soprattutto perché alla vigilia delle prossime elezioni amministrative tutti devono dimostrare di aver portato a casa qualcosa: il Centrodestra esulta e dice di aver vinto la battaglia, perché non ci saranno tasse sulla casa; il Centrosinistra, soprattutto per voce di Letta del Pd, conferma che è stata premiata la sua lealtà ed il suo sostegno al governo perché praticamente non cambia niente rispetto al testo originario che era uscito da Palazzo Chigi.
La verità come sempre sta a mezza strada perché in effetti con la riformulazione proposta dell’articolo 6 restano tante perplessità dal momento che è vero che viene eliminato il riferimento esplicito ai “valori patrimoniali” del bene, che se fosse rimasto sarebbe stato un vero e proprio disastro, si conferma però che le rendite catastali attuali saranno affiancate da “una rendita ulteriore” con aggiornamento periodico. E questa rendita sarà determinata in base ai criteri del Dpr 138/1998 (1 cfr. nota), quello che già consente ai Comuni di aggiornare i parametri catastali alle mutate condizioni degli immobili. Palazzo Chigi cosi non rinuncia a tenere aperta una finestra sui valori Omi, che indicano i prezzi di mercato divisi per zone: nel testo iniziale sarebbero stati il riferimento per rivedere i valori patrimoniali, ora rimangono come dato di consultazione nell’accesso alla banca dati catastale.
Dunque per chiarezza di ragionamento ricapitoliamo: il ripensamento dell’“operazione trasparenza” voluta da Palazzo Chigi è più formale che di sostanza. Non c’è più l’obiettivo di affiancare alla rendita attuale di ogni immobile un “valore patrimoniale” tendenzialmente allineato a quello di mercato. Ma il dato chiamato a fotografare la situazione aggiornata sarà rappresentato da una “rendita ulteriore” da calcolare in base ai criteri dettati dal Dpr 138 del 1998. Dove (articolo 5 comma 2) la revisione delle tariffe d’estimo si basa sui “canoni annui ordinariamente ritraibili” e sui “valori di mercato”: che quindi, usciti dalla porta della citazione esplicita dopo mesi di battaglie, rientrano dalla finestra.
Ogni immobile, dunque, avrà due rendite: quella ufficiale di oggi, che è la base su cui si calcolano le imposte, e quella “ulteriore”, che misura la sua situazione aggiornata. La seconda non potrà essere utilizzata “per la determinazione delle basi imponibili”, come recita la clausola anti-tasse che però era già presente nel primo testo.
In tal modo i Comuni potranno utilizzare questo metro di valutazione per combattere l’evasione, rafforzando la lotta al sommerso immobiliare, sulla quale siamo perfettamente d’accordo.
È evidente però che da questo tipo di accertamento potrebbero derivare anche aumenti di tasse a carico di chi oggi ne paga troppo poche, per esempio per chi negli anni ha ristrutturato, ampliato, modificato la propria casa.
Come si vede, la platea delle possibili revisioni può diventare piuttosto ampia per l’aumento della rendita e quindi della base imponibile su cui si calcoleranno l’Imu e le altre tasse. La conseguenza perciò sarà un aumento delle imposte che dovranno andare almeno per “una quota” a ridurre le tasse degli altri, “prevalentemente nei Comuni dove si trovano gli immobili interessati”. Si ammette cioè indirettamente che aumenteranno le tasse.
Con questa operazione in effetti Draghi ha caricato a pallettoni il fucile che potrà sparare a seconda dell’orientamento dei futuri governi.
Per concludere: scompare il riferimento al “valore patrimoniale”, il che è molto importante. “Ma nella consultazione catastale” entreranno anche i valori Omi (Osservatorio dei mercato immobiliare). Il testo della delega approvato dal consiglio dei ministri prevedeva per ogni immobile una doppia rendita. Quella attuale, che rimane come base di calcolo dell’Imu e delle altre tasse sulla casa, e “una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato”. La nuova versione dell’articolo 6 prevede invece l’attribuzione a ogni immobile di una “rendita ulteriore”, calcolata in base ai criteri del Dpr 138/1998. Si tratta per la verità dell’insieme di regole che oggi i Comuni già utilizzano per attribuire le rendite ai nuovi immobili. Inoltre all’origine l’intero meccanismo era rappresentato da rendita attualizzata ed un valore patrimoniale che non avrebbe influito sulla “determinazione della base imponibile dei tributi e comunque non sarebbe stato utilizzato “per finalità fiscali”.
Lo stesso principio torna nella nuova versione dell’articolo 6 della delega, oggetto dell’accordo raggiunto. La bozza prevede infatti che la “rendita ulteriore” e le altre informazioni raccolte con la riforma “non possono essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi. L’unica differenza è, quindi, il riferimento esplicito all’Isee, che però già rientrava nelle “finalità fiscali” escluse dal primo testo come si sa.
Dopo gli annunci della riforma del Catasto circa un anno fa, il mercato immobiliare aveva segnato il passo. Ora c’è da vedere come reagirà con questa nuova formulazione del testo. Da ciò si capirà, al di là di ogni pregiudizio ideologico, se la mediazione raggiunta avrà raggiunto gli effetti sperati.
*Responsabile Settore Finanze e Tesoro Federproprietà