Articolo della serie provocazioni politologiche.
Devo assolutamente comprare il libro di Gaetano Mosca “Gli elementi di scienza politica”. Per un appassionato della materia come me, è un ritardo incolmabile aver letto solo qualche pagina e ricevuto qualche suggestione troppi anni fa dal mio amatissimo professore di filosofia, al liceo. Ho un’aspettativa da questa lettura, nella sua parte di teoria generale del potere, non certo nella visione liberista dell’economia, materia che negli ultimi decenni è stata oggetto di diffusi approfondimenti ed esperienze e che comunque non appartiene alla mia formazione.
Gaetano Mosca (1858-1941), giurista palermitano e storico conservatore di formazione e orientamento) fu il fondatore, insieme a Vilfredo Pareto (1848-1923), intellettuale conservatore di grande eclettismo, figlio di un nobile genovese esiliato in Francia per le sue idee mazziniane, e di madre francese), della scuola di pensiero denominata elitismo.
È distante la visione del mondo fra conservatori e progressisti, ma sul tema élite, temo, o auspico, che queste distanze non siano mai state davvero tali.
Un primo serio indizio è nell’influenza che Mosca ha avuto su personalità del mondo democratico come Piero Gobetti e i fratelli Rosselli; un secondo indizio è nell’impronta metodologica nettamente positivista dell’autore, ed è noto quanto il positivismo abbia influenzato i due fronti politicamente avversi, quello socialista e quello conservatore e antidemocratico; che dire poi dell’antiparlamentarismo? Fenomeno conservatore e democratico, negli anni postunitari del Regno d’Italia. Sfiducia nelle classi dirigenti post-risorgimentali e la lotta alla corruzione dilagante e agli oligarchismi locali e settoriali, in un’Italia – nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! – che non trovava la strada giusta della dignità e dell’orgoglio, di una politica e di un’etica nazionale. E poi il pessimismo intorno alla natura umana, ingrediente che ha sempre legato i profili intellettuali alti, e sempre al di là delle visioni e delle analisi, dei valori e dei modelli di società. Come dimenticare il “pessimismo della ragione” di un rivoluzionario comunista come Antonio Gramsci? Pessimismo che ha certamente radici ancora più lontane nella storia, in modo del tutto autonomo e indifferente alla lotta fra conservatori e progressisti.
Insomma leggerò Mosca e rifletterò ma la mia percezione sulla solidità del pensiero dell’autore è anche ispirata dalla mia personale esperienza di una vita: troppi incontri ho fatto con galantuomini e malfattori di ogni estrazione politica. Non voglio semplificare, non intendo sostenere che un’idea valga l’altra, purché onesta e qualificata, intendo semmai dire che esiste, o comunque è bene che esista un cemento che unisce le élites dei vari gruppi sociali, delle classi dirigenti, e che questo cemento costituisce una spinta a imprimere stile e profilo ai costumi ma soprattutto alle sorti della Storia.
Ho già scritto, in un mio precedente articolo, del dialogo fra liberali e socialisti, ispirato da un bel saggio di Luigi Einaudi del 1957. Ho già anche scritto, nei miei libri di narrativa storico-intimista, di miei incontri con personalità decisive alla mia formazione che, per profondità di pensiero, per cultura e per costume, sapevano far prevalere sui punti di vista e sugli interessi di parte le ragioni comuni di appartenenza alla comunità, quella capacità di unire un popolo intorno a leggi comuni, a istituzioni, a valori morali, al di là delle diversità politiche e di pensiero, quel senso di appartenenza che consegna vigore alla storia di una comunità.
Cosa c’entra in tutto questo Gaetano Mosca e la sua teoria delle élites?
Credo c’entri molto e che sotto questo specifico profilo addirittura un rivoluzionario come Gramsci, con la sua teoria dell’intellettuale organico, il suo Principe e il partito della classe operaia, non esprimesse idee così lontane ad un buon esercizio della funzione delle élites nella costruzione di un progetto sociale.
Se è fondato ciò che intuisco, l’idea della costruzione del potere dal basso è una delle tante sciocchezze di una politologia raffazzonata, di sinistra ma non solo, e che al contrario il mondo è sempre creato dall’alto, e che senza élites, senza potere della conoscenza non si costruisce nulla, né di serio, né di duraturo.
C’è poi il tema della morale delle élites. Soltanto un galantuomo potrà guardare negli occhi un galantuomo e stringere un accordo con uno sguardo e con una stretta di mano.
A tal proposito mi sovviene il messaggio paterno, lui, mio padre, vecchio uomo d’onore socialista e siciliano, dove e quando onore significava, come d’altronde significa oggi, Onore e non suggestione pattizia di stampo malavitoso, mi suggeriva: «Non dare mai la tua parola d’onore, piuttosto firma un contratto. Un contratto si può sciogliere, se invece dai la tua parola d’onore e poi non la rispetti cessi di essere un uomo».
Certo la lettura de “Gli elementi di scienza politica” sarà foriera di ben altre considerazioni e distinzioni politico-filosofiche, ma il ragionar sul buon senso comune delle cose è sempre utile, aiuta a rafforzare il ruolo delle élites e a dare schiena diritta al carattere di un popolo.