Il Bloomberg Commodity Index, indice rappresentativo delle materie prime a livello internazionale, è schizzato in un mese di 15 punti. Venerdì scorso il gas ha toccato un record storico, ovvero 208 euro per Megawattora. Anche il grano, nella settimana appena trascorsa, è stato oggetto di un rincaro con una rapidità senza precedenti, il 40% in 5 giorni. Se pensiamo che la maggior parte delle materie prime è quotata in dollari è che l’euro è ai minimi da due anni, risulta chiaro quanto peserà l’aggiunta di questo particolare ad un’inflazione già molto alta, con un’economia che rischia di frenare proprio per l’alto costo dell’energia.
Scenari bellici e finanziari
Venerdì scorso Milano ha chiuso con un -6,2% (aggiudicandosi il dato peggiore), seguita da Parigi (-5%), Francoforte (-4,4%) e Londra (-3,5%); mentre l’indice Eurostoxx 600 ha ceduto il 3,6% (i bancari -7%). Anche l’America chiude in negativo, anche se con dati più morbidi rispetto all’Europa, e nonostante la diffusione dei dati molto positivi sull’occupazione , in calo al 3,8%.
Come riportato da Milano Finanza, gli economisti di Bloomberg Intelligence hanno ipotizzato tre scenari e auspicano che la Bce tenga conto del clima di grande incertezza nella riunione del 10 marzo. Il primo scenario prevede una rapida definizione del conflitto, con il gas che torna a livelli di 100 megawatt ora ed il petrolio a 100 $ al barile, con un’inflazione di poco più alta di quella attuale.
Lo scenario due, per il momento quello che accreditano come il più probabile, prevede una guerra e sanzioni prolungate, con i prezzi dell’energia ancora in rialzo, che potrebbero toccare 180 megawatt ora per il gas e 120 $ al barile per il petrolio, con un rallentamento dell’economia che spingerebbe la Bce a lasciare sul campo qualsiasi intento rialzista.
Nel terzo scenario, il più estremo, gli analisti di Bloomberg ipotizzano una chiusura della fornitura di gas che causerebbe, con un razionamento del 40%, un calo del Pil del 3%, con la Bce pronta ad un nuovo QE.
L’avversione alle perdite, il più grande nemico
I premi Nobel Daniel Kanehman e Amos Tversky dissero in tempi non sospetti -correva l’anno 1979- “Le perdite incombono più dei guadagni”.
L’avversione alle perdite è differente dall’avversione al rischio. Gli investitori sono più propensi a vendere azioni vincenti, per il piacere di “prendere profitto”, piuttosto che accettare il dispiacere in caso di bruschi cali del portafoglio. Se un titolo o un fondo ha un lieve calo, l’investitore sarà portato a venderlo anche e solo per una lieve perdita. Mentre un titolo che tracolla è difficile da accettare per un investitore che sarà portato a tenerlo a tutti i costi.
Ma come evitare decisioni sbagliate? Secondo Kemp – Chief Investment Officer, Morningstar Investment Management EMEA – in un interessante intervista riportata su Moringstar.it, una delle soluzioni più efficaci è quella di smettere di guardare il portafoglio giornalmente. “Meglio rivederlo periodicamente. Naturalmente è importante assicurarsi che il livello di rischio sia appropriato rispetto ai propri obiettivi o che il gestore o che il gestore stia facendo un buon lavoro”.
Un’altra soluzione molto importante per mitigare l’emotività, ancor più in questi momenti, è quella d’investire tramite PAC, i piani di versamento periodici del capitale (di solito mensili), che non solo riducono fortemente l’importanza del punto d’ingresso dell’investimento: storicamente, il momento migliore per far partire un PAC è proprio durante una crisi di cui non si conosce durata e profondità, in modo tale da comprare prima azioni ad un prezzo più conveniente per poi beneficiare del successivo rimbalzo del mercato.