A Roma non fa mai veramente freddo; e quando sentiamo i brividi, il sole li trasmuta frizzanti in un momento, come fa l’acqua ossigenata sulla ferita: che brucia per un istante e poi la riscalda e l’allevia. In questo ultimo giorno di dicembre, quasi sempre irradiato dal sole, l’anno nuovo non s’affaccia prepotente – anzi, s’insinua in un’atmosfera agrodolce, carico di speranza ma anche disilluso dal macigno degli ultimi due anni.
LA DANZA ETIOPE
Il 2022 sembra farsi attendere in una danza gitana, malinconica ed allegra ad un tempo; vicina a quella Danza etiope di Nicola Piovani, che avevo qualche giorno fa nelle orecchie percorrendo via del Tempio e lasciando andare il Lungotevere de’ Cenci. Tra il villino Astengo e la Sinagoga, c’è un pezzo di strada in cui il riverbero del sole scintilla sulle foglie dei platani nello stesso identico modo in cui lo fa sul mare; fino a creare un tappeto di luce silente, piena di maestà, quasi avulsa dal rumore e dal colore romano.
GLI OCCHI VIVI DA SPENTI
Le finestre liberty risaltano come larghi occhi neri nel bianco lucente del numero uno di via del Tempio – quelli magnetici della Bolkan che vi abitava all’interno 1, nel capolavoro di Petri del 70: scuri ed assoluti nel suo volto latteo, lunare. È così che li voglio immaginare: profondi, seri, pieni, quelli che si sono chiusi negli anni di pandemia. E che ancora parlano; perché in questo atroce stato comune gli occhi dei morti non hanno mai smesso di farlo. Di parlarci. In un dialogo senza termine definito tra vivo e morto, tra luce e buio: che si fondono insieme perché condividono lo stesso limbo incerto e fino ad oggi mai visto.
NEL DIALOGO TRA LUCE ED OMBRA
Ed in un groviglio di passi, simultaneamente tutto prende forma nell’insieme: come la pelle lunare sui capelli d’ebano che circonda lo sguardo nero di Florinda, come il bianco del villino Astengo bucato dagli occhi spenti delle sue finestre – vita e morte, luce e ombra dialogano continuamente e prepotentemente come per Caravaggio. Mentre ci penso, quasi di corsa, arrivo a San Luigi dei Francesi e ritrovo quell’incontro tra contrari che s’abbracciano e si fondono nella Vocazione di San Matteo, quando i destinatari della vocazione seduti all’osteria sono investiti da un fascio di luce.
L’INCONTRO
Questo “l’incontro” su cui interrogarsi nell’ultimo giorno dell’anno? Mi chiedo. E su ciò che è stato, sull’anno che verrà, sulla forza che ci resta e sulla speranza di cui servirla. Così come fece Gustav Janouch – mi dico, protesa davanti alla Cappella Contarelli – nei suoi Colloqui con Kafka: “E Cristo?”- gli aveva domandato – “È un abisso pieno di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi”. Nel frangente in cui luce e oscurità s’incontrano: nell’abisso nel quale si può scorgere lo spiraglio brillare.