Legalità significa diffuso rispetto delle regole, oggettivamente in relazione al tasso di rispetto di esse, soggettivamente in merito alla propensione individuale o sociale al rispetto di esse, e il diffuso, elevato e individualmente accettato rispetto delle regole contribuisce a creare quella c.d. cultura della legalità, che deve essere promossa soprattutto con politiche concrete, e non solo sterilmente affermata.
Il rispetto delle regole non può essere ottenuto con la sola deterrenza o con la moral suasion affermata e non corrispondente a comportamenti coerenti di chi lo invoca e – spesso apparentemente – lo promuove; occorre la diffusa percezione e convinzione che quel rispetto sia utile ai singoli e alla società, con un approccio laico che si fonda sul diritto, sull’integrità delle istituzioni e di chi le incarna, le rappresenta e le fa funzionare, così che ciascun cittadino o soggetto appartenente ad un ordinamento giuridicamente organizzato – come quello sportivo – possa fare propria la cultura della legalità, perché la vede non solo affermata quotidianamente, ma praticata effettivamente, in modo attivo ed efficace.
L’appartenenza e la partecipazione al mondo dello sport ufficiale non costituisce un diritto, bensì un privilegio che si acquisisce su base volontaria attraverso il tesseramento, che costituisce, a tutti gli effetti, un patto contrattuale attraverso il quale, tra l’altro, si accettano i principi, le regole e i vincoli che definiscono l’ordinamento sportivo che, come tale, può definire obblighi, limitazioni, prescrizioni o divieti.
Lo sport è un fenomeno collettivo e condiviso a livello planetario, e nel nostro tempo ha assunto una rilevanza nuova e mai conosciuta prima.
Esso è sicuramente portatore di valori e influenze positive per la società, è parte integrante della cultura contemporanea, costituisce un fattore di civiltà che influenza gli stili e le scelte di vita di una molteplicità di persone, poiché il valore universalmente riconosciuto dello sport, la sua forza simbolica, le sue potenzialità educative e formative, sono un patrimonio ormai largamente condiviso.
Lo sport moderno è andato oltre i confini nazionali e culturali, ha perso qualsiasi connotato utilitaristico, strumentale ad altre finalità ed è diventato parte integrante di quasi tutte le culture, annullando diversità e specificità.
In generale, lo sport moderno può essere fatto risalire a due ben precisi filoni culturali, sociali e filantropici: da un lato i giochi e le competizioni codificate nelle scuole pubbliche inglesi sin dalla prima metà del XIX secolo; dall’altro gli esercizi motori, di ginnastica e di sviluppo armonico del corpo, ideati in conseguenza del movimento di riforma pedagogica del Filantropismo, strutturatisi, in particolare, in Svezia.
Alla fine del XIX secolo, Pierre de Coubertin ebbe l’intuizione di unificare le diverse tradizioni attraverso la (ri)nascita dell’Idea Olimpica: egli nutriva l’ambizione di creare un programma pedagogico globale, indirizzato alle giovani generazioni di tutto il mondo, promuovendo – attraverso lo sport e ispirandosi alla cultura ellenistica – l’educazione alla pace, alla democrazia, alla cultura dell’incontro e alla ricerca dell’umana perfezione. Per diffondere l’Idea Olimpica, de Coubertin fece nascere (o, meglio, rinascere) le Olimpiadi, non solo con l’obiettivo di promuovere lo sport e le competizioni, ma anche con il fine di celebrare la nobiltà e la bellezza dell’umanità.
Ma lo sport moderno non può esistere senza un complesso contesto organizzato, che necessita di supporto esterno – costituito, per esempio, dai volontari, dal supporto dalle istituzioni pubbliche, dai finanziamenti privati attraverso donazioni o sponsorizzazioni, dagli utenti che acquisteranno i biglietti, gli articoli di merchandising o gli abbonamenti ai canali tematici televisivi.
La dipendenza strutturale del sistema sportivo sopra descritta non è necessariamente un aspetto negativo, poiché lo sport può, comunque, perseguire finalità che sono eticamente accettabili o anche profondamente umane.