Il Welfare è un vanto dell’Europa, ma in Italia molte cose non sono andate come avrebbero potuto, a partire dagli anni ’70.
Così un sistema di giustizia sociale, che ha garantito a lungo i ceti più deboli, è divenuto impropriamente fonte d’indebitamento pubblico e di tendenziale indebolimento dei servizi, a maggior danno della medesima
mission e dei ceti sociali meno garantiti.
Ciò è avvenuto nel settore sanitario come in quello assistenziale, nel pensionistico come nelle politiche a sostegno degli anziani. Questa improvvida tendenza ha indebolito, agli occhi dell’opinione pubblica, la cultura keynesiana e l’attuazione delle sue politiche, assegnando al “liberismo” una credibilità mai conquistata sul campo da azioni di governo.
Nel mondo globalizzato d’oggi in Italia quanto in Europa e in Occidente, va sviluppata una riflessione generale su cosa possa e debba significare la ricerca di un nuovo Welfare, che faccia i conti con le profonde modificazioni strutturali del Pianeta. Lo chiamerò Welfare integrale 2050, con l’intenzione di segnare un orizzonte temporale ultimo per la realizzazione di tutti gli obiettivi.
Parliamo di un Mondo dove la domanda di servizi sociali cresce esponenzialmente, a fronte di una condizione globale di decrescita della ricchezza, di una continua spinta demografica, di un processo incalzante di redistribuzione della ricchezza e di un progressivo indebolimento dei ceti intermedi, in tutto l’Occidente, con tutti gli effetti collaterali che comporta.
Queste tendenze diffuse, questi vasi comunicanti della globalizzazione in termini di integrazione delle economie, delle culture e delle religioni, di contraccolpi reddituali e di mobilità territoriale, si sommano alle storture di sistema del nostro Welfare state e lasciano a noi Italiani, a noi Europei, segni profondi in termini d’organizzazione e di costi.
Anche la Rivoluzione Industriale 4.0 apre scenari e provoca allarmi sulle politiche di sostegno alla povertà, sui livelli occupazionali, sugli ammortizzatori sociali, sui costi della formazione professionale in continua evoluzione, e con essa dobbiamo fare i conti.
La storia del Welfare in Europa ha radici più complesse del modello di Welfare State proprio e specifico delle Socialdemocrazie e degli Stati democratici del ‘900.
Almeno altri due modelli vanno presi in esame per capire la dialettica di un processo sociale, economico e politico, che lascia oggi sul bagnasciuga della Storia, tappe successive e contraddittorie di emancipazione dei Popoli e di graduale e complessa costruzione di giustizia sociale. Ad esso si accompagna il fallimento di un modello di welfare pubblico che non ha più margini di crescita, così com’è stato concepito all’interno del modello socialdemocratico. Sul versante della spesa, a fronte di un continuo aumento della domanda di servizi sociali, in una fase storica in cui è divenuto indefettibile la messa sotto controllo del debito pubblico, se ne comprende l’inadeguatezza.
Contemporaneamente subiamo in modo sistemico lo tsunami di una veloce redistribuzione della ricchezza a favore di Paesi che, fino a poco tempo fa, vivevano senza diritti ai margini della storia.