Sottoscritto dalla grande maggioranza dei Paesi presenti l’accordo per limitare da subito le emissioni di gas serra e per fermare la deforestazione del Pianeta. Sull’accelerazione della decarbonizzazione contrari solo Cina, India e Russia.
Salgono a 100 i Paesi che aderiscono al Global Methane Pledge, ossia all’impegno di ridurre le emissioni di metano di almeno il 30%%, rispetto ai livelli del 2020, entro il 2030 e a muoversi verso l’utilizzo delle migliori metodologie disponibili per quantificare le emissioni. Questo dovrebbe permettere di raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi nei prossimi anni e ridurrebbe il riscaldamento di almeno 0,2 gradi Celsius entro il 2050, come si legge in una nota ufficiale della COP26 appena terminata a Glasgow. Ingenti gli investimenti previsti, a partire da una significativa espansione del sostegno finanziario e tecnico annunciata da Stati Uniti e Ue, i 328 milioni di dollari di filantropi di tutto il mondo e l’impegno a sostenere il progetto da parte della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, della Banca europea per gli investimenti e del Fondo verde per il clima.
Bisogna ”fare ciò che è giusto”, è stato l’appello che Joe Biden a rivolto ai 120 leader riuniti a Glasgow, dichiarandosi pronto, secondo fonti appartenenti alla sua amministrazione, a disporre a breve il ripristino delle norme cancellate da Donald Trump in tema di contrasto ai cambiamenti climatici e a disporre un inasprimento delle misure contro le perdite di metano dai suoi pozzi di petrolio e gas. Intanto, l’Italia, ha annunciato il ministro Cingolani, ha aderito, insieme alla Rockfeller Foundation, Ikea Foundation, Earth Foundation di Jeff Bezos e altre istituzioni finanziarie internazionali, alla Global Energy Alliance, un fondo da 10 miliardi di dollari per accelerare la transizione ecologica nei Paesi meno sviluppati.
Cina, India e Russia non firmano l’accordo
A sfilarsi dall’impegno del Global Methane Pledge proprio i grandi inquinatori come Cina e India, cui si è aggiunta anche la Russia. Per Pechino diventare “carbon neutral” è possibile solo nel 2060 così come è irrealizzabile l’accelerazione concordata al G20 di Roma di ridurre la CO2 del 30% già dal 2030. La Cina, che continua a considerarsi una potenza in via di sviluppo, rivendica il diritto a inquinare quanto hanno fatto gli Stati Uniti negli ultimi due secoli, con emissioni 8 volte superiori a quelle cinesi. Di segno opposto, la proposta lanciata in una intervista dal segretario generale dell’Onu di “tassare l’inquinamento, non le persone”. “Dobbiamo mettere un prezzo al carbonio – ha dichiarato Antonio Guterres -, indirizzare queste somme verso lavori e infrastrutture resilienti e investire almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanza climatica in favore dei Paesi in via di sviluppo“.
Pronti a salvare le foreste del mondo
Tutti d’accordo, invece, sul porre fine alla deforestazione entro il 2030, con un impegno finanziario globale da 19,2 miliardi di dollari. Hanno aderito all’iniziativa 105 Paesi, tra cui Brasile, Cina, Russia, Congo, Canada, Usa, Regno Unito e Italia, che insieme detengono l’85% delle foreste mondiali. Il premier britannico Boris Johnson ha elogiato i Paesi aderenti a un accordo che ha definito “fondamentale” per salvare “i grandi ecosistemi pieni di vita, vere cattedrali della natura, polmoni del nostro pianeta”, evocando finanziamenti, anche da privati, “senza precedenti”. Previsto anche un fondo da circa un miliardo destinato a proteggere il bacino del fiume Congo, la seconda foresta pluviale più estesa del pianeta dopo l’Amazzonia.