Cambio di stagione, cambio di abiti: ne parlano riviste di moda, i siti on line, i giornali, le decine di settimanali specializzati, rubriche Tv di fashion; insomma è tutto un suggerire, un far vedere come aggiornare il look, come essere innovativi e trendy, proposte esagerate – costose – ma briose, effervescenti, dove in tutte i servizi e articoli connessi, il motore, la spinta emotiva essenziale è la creatività, la spontaneità, l’arte, il gusto personale, le scelte dettate dal nostro modo di essere e quindi di vivere e vestire.
Invece il 2019 sarà ricordato come l’anno dove le scelte della moda le impone dettandoci gusti e capi di abbigliamento, e naturalmente gli acquisti, è l’intelligenza artificiale. Il passo per arrivare a far disegnare le collezioni di alta moda dai “data driver”, appare oggi già un obiettivo scontato.
Algoritmi matematici che incrociando informazioni e tutto quello che facciamo su internet sanno di noi, ne sanno anche forse più di noi stessi, ecco che la moda ci plasma un qualcosa che noi aspettavamo già, era presente nella nostra testa, nei nostri desideri ed aspettative, ed ora possiamo indossare quei capi di abbigliamento perché sono già pronti in scaffali di grandi magazzini o boutique, secondo il proprio portafoglio. Pensiamo di decidere noi stili e colori, invece, è una nuova e più profonda illusione.
L’intelligenza artificiale (in Cina si narra ci sono 3 mila ingegneri concentrati quotidianamente sulla creazione di algoritmi, così come in Russia e in America) sta cambiando in maniera incredibilmente veloce e incisiva non solo il modo di tracciare il gusto e i consumi di moda (come di tutto il resto) ma anche lo stesso processo creativo, sempre più diretta emanazione del fashion. “Un tempo risultato di lunghe ricerche”, segnala una delle riviste di moda più innovative nei contenuti, come Elle, attenta ai cambiamenti di stili e sociali, “da parte dei trend hunter in giro per il mondo, oggi estrazioni di dati da tabelle excel da fare con un semplice click. Cybernetica, data analisi, automazione, neuroscienze e Artificial Intelligence si mettono a servizio dello stile, non solo e non tanto con ‘strane apparizioni’ in passerella come il mega robot che Dior usò per la sfilata maschile a Tokyo Pre-Fall 2019, ma in maniera molto più ‘produttiva’.
Tradotto: anche la creatività può essere una formula e in quanto tale può essere replicata e gestita da una macchina”. Il settore del system fashion in Italia ha numeri di grande rilievo: 82 mila imprese attive, con un fatturato di 78 miliardi di euro, che da lavoro a mezzo milione di persone. Sono cifre che emergono dall’ufficio studi di Mediobanca che ha divulgato il report sui dati e l’andamento economico delle principali aziende della moda in Italia. Il famoso e per ora ancora incontrastato “Made in Italy”, un settore che “corre veloce” che si nutre di ricerca, innovazione, sviluppo delle idee. Una velocità superiore a qualsiasi altro settore produttivo nazionale e per questo anche più attento alle innovazioni.
Un progetto globale che vede la presenza nel totale delle imprese che producono nel nostro Paese del 40% di nomi italiani ma che hanno il controllo belle mani straniere. Non è un male dal momento che oltre il 63% dei ricavi arrivano dall’estero. In questa particolare classifica, l’Italia posiziona il primo gruppo in settima posizione europea con Luxottica Group (9 miliardi di fatturato), mentre il “podio” nazionale è completato dal gruppo Prada (3 miliardi) e da Giorgio Armani (2,3 mld). Un mondo di concorrenza, di idee che devono confrontarsi, di ricerca si abitudini, stili, ambizioni.
Proprio questa platea così ampia così variegata nel concepire la moda in latitudini diverse, con esigenze e climi diversi, che fanno capolino gli algoritmi.
Ogni gesto umano in questo momento può trasformarsi in un byte da analizzare e scandagliare. Da osservatori, passiamo il labilissimo confine, dell’essere osservati e nel contempo “intercettati” per i nostri gusti e anche il nostro modo di pensare e vedere il mondo. C’è chi raccoglie una mole quasi illimitata di dati che viene filtrata e analizzata. Parallelamente gli ultimi anni hanno visto un vero e proprio boom di aziende, progetti e start up che hanno creato specifici algoritmi per raccogliere e analizzare dati su specifici segmenti di mercato legati al mondo della moda, del lusso e della bellezza.
“Come fa Lyst. Fondato a Londra nel 2010 da Chris Morton e Sebastjan Trepca, è il motore di ricerca nel mondo della moda”, riferisce Elle nel suo reportage sulla moda del futuro, “con la mission di aiutare gli utenti a trovare in modo semplice e veloce prodotti fashion per rispondere perfettamente ai loro gusti, e lo fa tracciandone i comportamenti”.
In altri versi si offre al cliente ciò che vuole, imparando a produrlo nella quantità esatta in cui lo vuole e dunque senza sprechi di materie prime. Il prossimo futuro sarà una accelerazione tale dove non sapremo nemmeno più se acquistare un capo di abbigliamento risponde davvero ad un nostro desiderio o ci è stato imposto senza che nemmeno ne abbiamo avuto percezione di essere una coercizione. L’utilizzo della neuroscienza sonda il cuore e le menti delle persone per carpirne le emozioni.
La società americana di bioinformatica Emotiv, leader mondiale nei sistemi di registrazione delle attività cerebrali, ha già all’attivo molte collaborazioni nel mercato del lusso come sottolinea il suo presidente Olivier Oullier a Madame Le Figaro: “Abbiamo oltre 80 mila persone in oltre 120 paesi che indossano uno dei nostri elmetti elettroencefalografici, che misurano l’attività elettrica del cervello, ma anche i muscoli facciali per riconoscere le espressioni del volto e i movimenti della testa. I nostri algoritmi apprendono marcatori cerebrali che poi associano a determinate azioni, decisioni e gusti. Dopo decenni di studi approssimativi, comprendiamo sempre meglio come sono modellate le nostre preferenze e ciò che motiva le nostre decisioni”.