L’Industria farmaceutica è da sempre al centro delle critiche dell’opinione pubblica per gli enormi profitti generati a spese della società. Si tratta di una valutazione ingiusta, spesso basata su convinzioni ideologiche. Questo giudizio appare infatti poco sensato se si pensa che negli ultimi cento anni i progressi nella ricerca di farmaci e trattamenti medici hanno permesso all’umanità di abbattere malattie croniche e di allungare visibilmente le aspettative e la qualità di vita degli individui.
Ciò che spesso si dimentica è che l’investimento per lo sviluppo di un farmaco costa miliardi e si estende per un arco temporale di diversi anni.
Fatta eccezione per i Paesi delle regioni povere del pianeta, dove ben comprensibile è l’aspirazione a render accessibili le medicine a prezzi sociali, sarebbe un errore pensare che rimuovere i diritti di brevetto, come spesso si è discusso ultimamente, sia un atto dovuto per il bene dell’umanità.
DECISIONI DEI GOVERNI E PREGRESSI SCIENTIFICI
I sistemi assicurativi delle economie avanzate possono senz’altro sopportare i costi dell’acquisto di cure d’avanguardia per la propria popolazione. Ciò che non possono permettersi è di disincentivare gli investimenti dell’ industria nella ricerca di nuovi farmaci. Il danno che ne deriverebbe sarebbe infatti incommensurabile in termini d’impoverimento dei processi di ricerca ed innovazione essenziali alla crescita del genere umano. Processi che si sono rivelati cruciali non solo per la cura delle malattie ma anche per le numerosissime applicazioni in campi attigui come l’industria alimentare, la cosmetica ed addirittura l’agricoltura.
Ancor più stridente diviene allora la attuale polemica legata alla possibilità di render pubblici i brevetti dei vaccini. Nell’enfasi degli errori commessi dai governi nella negoziazione dei contratti di acquisto, si tende a scaricare la colpa sulla sete di profitto delle aziende. Si confondono due aspetti importanti. Il primo, relativo alla capacità negoziale ed alla volontà di spesa di governi ed istituzioni europee, dimostratesi poco lungimiranti se non addirittura incompetenti. Il secondo riguardante l’enorme investimento in ricerca profuso dai colossi farmaceutici supportato, solo da “alcuni” degli stati, nello sviluppo di un vaccino in tempi brevissimi.
GLI ERRORI DI COMUNICAZIONE
Quando si lamenta l’ incapacità di produrre i vaccini necessari, si dimentica che questa discussione non esisterebbe se “Big Pharma” non fosse stata in grado di innescare un processo di sviluppo così efficace e celere. Dimentichiamo spesso inoltre che produrre un vaccino non è solamente l’attuazione di una formula chimica ma comporta la costruzione di una molecola biologica, che può essere molto instabile e non consente previsioni produttive accurate.
Se c’è una responsabilità da attribuire all’ industria è la cattiva comunicazione: sorprende infatti la totale incapacità di trasformare una grande vittoria della scienza in un miglioramento di immagine che benefici del grande debito di riconoscenza, che in fondo la società deve al progresso farmaceutico. Un occasione unica per capire l’importanza di questa industria è andata ancora una volta sprecata. Ben più gravi invece appaiono le responsabilità delle istituzioni e delle agenzie regolatorie associate al processo di autorizzazione e distribuzione dei vaccini. Il loro comportamento infatti non solo ha amplificato gli errori di pianificazione dei governi ma ha mostrato ancora una volta la scarsa trasparenza di una burocrazia che speriamo non nasconda una pericolosa incompetenza.