Il prezzo dell’oro è sui massimi storici e la tendenza rialzista del metallo giallo per molti esperti non sembra essersi conclusa, nonostante, nella settimana che si è conclusa con il week-end ferragostano, per la seconda seduta di fila l’oro ha viaggiato sotto i 2.000 dollari d’oncia. Il metallo giallo continua a pagare la seduta di martedì 11 agosto, quella in cui ha perso il 5,7% segnando il peggior ribasso quotidiano in sette anni. Cosa spinge gli investitori, anche istituzionali, verso questo bene rifugio per eccellenza?
Due sono i principali fattori da tenere in considerazione.
Il primo è che i tassi Usa non sono mai stati così bassi nella storia: basti pensare che a inizio anno i rendimenti a 10 anni Usa erano al 2% e attualmente sono circa 0,5%. I tassi reali USA sono circa -1% (tassi nominali meno inflazione). Le stime di inflazione di medio periodo sono intorno all’1,5%. Quella di portare sottozero i tassi reali è la strategia della Fed per favorire al più presto un recupero dell’economia. Non è da escludere che entro il prossimo anno questa politica possa spingersi fino a portare i tassi reali negativi verso i 200 punti base. Questa situazione spinge gli asset reali, in primis l’oro. Il tasso reale riflette l’effetto dell’inflazione, le cui aspettative sono in rialzo per il prossimo futuro e ciò porta gli investitori a scegliere l’oro come protezione contro l’ inflazione e come un’alternativa ai bond che rendono meno di zero.
Il secondo, uno spostamento in avanti della relazione rischio rendimento, con multipli più alti per le azioni che in passato. Infatti, se nell’era pre-Covid vedere l’S&P 500 superare un rapporto prezzo/utili di 20 volte era da considerarsi caro, ora non lo è più. Perché prima questo multiplo scontrava tassi di interesse più alti. In questo momento storico di tassi reali negativi e che potrebbero continuare a scendere, un multiplo prezzo/utili di circa 30 volte o più sembra del tutto ragionevole.
“Sin dal 1968, quando l’oro quotava 35 dollari l’oncia, i driver dei mercati rialzisti per questo metallo sono stati classificati in due categorie: inflazionistici e deflazionistici”, ha spiegato Joe Foster, portfolio manager e strategist di VanEck, attivo da oltre quarant’anni nel settore aurifero, prima come geologo e quindi come gestore, analista e responsabile del team d’investimento sull’oro della società. VanEck, società che gestisce attualmente circa 56 miliardi di dollari Usa a livello globale tra Etf, fondi a gestione attiva e mandati istituzionali, ha recentemente confermato la sua fiducia nell’oro, fissando un target price di 3000 dollari. “Non vediamo un aumento dell’inflazione in tempi brevi, quindi crediamo che questo sia un ciclo deflazionistico. Entrambi i recenti mercati deflazionistici al rialzo dell’oro suggeriscono che un prezzo superiore a 3.000 dollari all’oncia possa essere ragionevole. Se misuriamo infatti l’inizio di questo mercato al rialzo dai minimi del 2015, allora si ritrovano analogie con il rialzo del 2001-2008, quando l’oro è aumentato di oltre il 200%”.
“Se si ritiene, come pensiamo noi, che l’attuale stimolo delle banche centrali per combattere gli impatti del virus Covid-19, insieme agli elevati livelli di rischio sistemico, siano simili a quelli della crisi finanziaria globale del 2008, allora 3.400 dollari potrebbero essere un punto di arrivo di questo mercato al rialzo”, ha aggiunto Foster.
Secondo VanEck, nell’attuale mercato al rialzo deflazionistico, i bassi tassi di interesse e l’impatto economico ancora sconosciuto della pandemia Covid-19 hanno guidato la recente domanda di investimenti in oro. L’oro, tra le altre cose, potrebbe essere vettore di performance positive anche se l’inflazione dovesse aumentare, per le politiche di aiuto massiccio adottate dalle Banche centrali. “Insieme alla persistenza di tassi reali negativi, crediamo che per il futuro vi siano dinamiche molto favorevoli per l’oro e per le azioni aurifere”, ha aggiunto Jan van Eck, CEO della società. “L’oro continua a essere un bene scarso e il fatto che non vi siano state nuove scoperte significative di oro dal 2016 non fa che aumentare la pressione sull’offerta. Nel frattempo, le società aurifere sono riemerse da un periodo di ricambio del management e di ristrutturazione fiscale e, a nostro avviso, sono ora meglio posizionate per restituire valore agli azionisti”.