Il cuore come centro della persona umana e il denaro come idolo che genera morte e distruzione. Sono questi i due assi portanti dell’intervento di Leone XIV ieri durante l’Udienza generale in piazza San Pietro, inserita nel ciclo di catechesi del Giubileo 2025 dedicato a Gesù Cristo come speranza e alla risurrezione. Prima di prendere la parola il Pontefice ha compiuto il consueto giro della piazza a bordo della jeep bianca per salutare i fedeli. Si è fermato più volte lungo il percorso, ha firmato una pallina da baseball e si è lasciato porgere due papaline, in un clima di partecipazione diretta e semplice contatto con la folla.
Tornando invece alle sue parole, il Papa ha preso avvio da una riflessione sulla vita quotidiana: “La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire”, ha detto, osservando come nella società contemporanea si richieda ovunque rapidità nel raggiungere risultati. Questa dinamica, però, non garantisce la pienezza della vita. Secondo Prevost molte attività sono legate a esigenze pratiche e concrete, alla gestione di impegni, problemi e fatiche, ma non sempre conducono alla soddisfazione.
Il rischio del “troppo fare”
Il Vescovo di Roma ha ricordato che anche Gesù si è immerso nella vita delle persone, senza risparmiarsi, fino al dono totale di sé. Ma nello stesso tempo ha messo in guardia dal rischio che il “troppo fare” diventi un vortice che stordisce, toglie serenità e impedisce di vivere ciò che è essenziale: “A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti”, ha aggiunto, spiegando che questo accade perché l’essere umano non è una macchina: “Abbiamo un cuore, anzi, possiamo dire, siamo un cuore”.
Il cuore, ha sottolineato il Santo Padre, è “il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone”. Richiamando il Vangelo di Matteo, ha poi ribadito che il luogo del vero tesoro è il cuore. Da qui la critica netta all’accumulo di ricchezza e alla sua centralità nella vita personale e collettiva: “Il vero tesoro non è nelle casseforti della terra, né nei grandi investimenti, oggi ingiustamente concentrati e idolatrati, al prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio».
Nel collegare questa riflessione al tema della risurrezione, Leone XIV ha spiegato che la fede promette il riposo in Dio, inteso non come inattività, ma come ingresso nella pace e nella gioia. Questa prospettiva, ha detto, non riguarda solo il futuro, ma può orientare il presente. Guardare la vita alla luce della Pasqua significa leggere l’esistenza a partire dal cuore umano, descritto da sant’Agostino come “inquieto”, cioè teso verso un compimento che va oltre il contingente.
Secondo il Papa, l’inquietudine non è disordine, ma segno di un orientamento verso una meta. L’approdo del cuore non coincide con il possesso dei beni, ma con l’amore di Dio, che si realizza nell’amore per il prossimo. Il prossimo, ha osservato, chiede di rallentare, di guardare negli occhi, talvolta di cambiare programmi e direzione. È in questo incontro concreto che il cuore trova il suo senso.
Saluti finali
Nei saluti finali ai fedeli Prevost ha rivolto un pensiero particolare ai malati e, avvicinandosi al Natale, ha richiamato il valore del presepe. Ha auspicato che continui a essere presente nelle case come segno della fede, ma anche come elemento della cultura e dell’arte cristiana. Il presepe, ha ricordato, rimanda a Gesù che, facendosi uomo, è venuto ad abitare in mezzo agli uomini.
Concludendo l’udienza, il Papa ha ribadito che nessuno può vivere senza un significato che vada oltre ciò che passa. Il cuore umano, ha detto, è fatto per la pienezza e non per la mancanza. In questa prospettiva, la risurrezione di Cristo resta il fondamento di una speranza che orienta la vita quotidiana e ne custodisce il senso.



