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L’Italia senza grandi imprese: la lunga ritirata dei colossi industriali

Dagli anni d’oro di Montedison, Olivetti, Fiat e Italsider alla loro scomparsa: tra privatizzazioni, globalizzazione e Tangentopoli è cambiato l’asse produttivo del Paese, oggi sorretto quasi solo dalle Pmi
domenica, 23 Novembre 2025
2 minuti di lettura

Le piccole e medie imprese italiane si confermano un’eccellenza nel panorama europeo. L’Ufficio studi della Cgia ha sottolineato come le aziende con meno di 250 dipendenti rappresentino l’asse portante della struttura produttiva del Paese e, allo stesso tempo, un modello competitivo spesso superiore a quello delle Pmi dei principali partner europei, Germania compresa. Le performance registrate mostrano un settore capace di reggere la competizione globale nonostante dimensioni ridotte, limiti strutturali e un contesto economico complesso. In Italia le Pmi sono più di 4,7 milioni, ovvero il 99,9% delle imprese attive, e impiegano 14,2 milioni di lavoratori, pari al 76,4% dell’occupazione. Il confronto con le grandi imprese è netto: appena 4.619 aziende (0,1%) che occupano il 23,6% degli addetti. Sul fronte economico, le Pmi producono il 64% del fatturato e il 65% del valore aggiunto, confermando il loro ruolo dominante. Le grandi imprese, nonostante la maggiore capacità finanziaria e produttiva, generano ‘solo’ il 36% del fatturato e il 35% del valore aggiunto complessivo.

A livello continentale, la struttura imprenditoriale italiana mostra un’elevata vivacità e un peso economico superiore rispetto a quello delle Pmi degli altri Paesi UE. Il confronto con la Germania è particolarmente significativo: le Pmi italiane impiegano il 74,6% dei lavoratori, contro il 55,2% delle tedesche; generano il 62,9% del fatturato nazionale, mentre le tedesche si fermano al 35,8%; contribuiscono per il 61,7% al valore aggiunto totale, superando di oltre 15 punti il dato tedesco. Ciò evidenzia non solo la centralità delle Pmi nel sistema italiano, ma anche una loro capacità di incidenza economica superiore rispetto alle pari dimensioni europee.

Più produttive delle tedesche

La produttività rappresenta uno degli aspetti più sorprendenti del report della Cgia. Le Pmi italiane tra 10 e 249 addetti superano quelle tedesche di 4.229 euro per occupato (+6,6%), un risultato che contraddice lo stereotipo della Germania come leader indiscussa dell’efficienza manifatturiera. Il punto debole resta quello delle microimprese: nelle attività con meno di 10 addetti il divario è del 33% a favore dei tedeschi. Colmare questo gap attraverso maggiori investimenti in innovazione, digitalizzazione e ricerca permetterebbe all’Italia di primeggiare in tutte le fasce dimensionali.

Accanto alle eccellenze, emergono difficoltà storiche: la carenza di grandi aziende. Fino agli anni ’80 l’Italia ospitava colossi in settori strategici come chimica, siderurgia, plastica, auto, informatica, farmaceutica. Aziende come Montedison, Olivetti, Italsider, Fiat, Stet rappresentavano riferimenti europei. Oggi questo patrimonio industriale è stato largamente eroso da privatizzazioni, crisi politiche, ristrutturazioni, globalizzazione e dalla selezione naturale del mercato, lasciando il sistema produttivo dipendente quasi esclusivamente dalle Pmi.

Secondo la Cgia, se l’Italia è ancora nel G20 lo deve soprattutto alla straordinaria capacità delle piccole e piccolissime imprese, non alla Pubblica amministrazione né alle poche grandi aziende sopravvissute. La forza del Made in Italy si fonda sulla qualità, sul design, sull’artigianalità e sull’identità dei prodotti, elementi che continuano a rappresentare un vantaggio competitivo e un simbolo riconosciuto nel mondo.

Il Mezzogiorno come serbatoio occupazionale

Nel Sud le Pmi svolgono un ruolo insostituibile: in province come Vibo Valentia la totalità degli occupati lavora in micro o piccole imprese (100%), seguita da Isernia (98,5%), Trapani e Agrigento (98,3%), Campobasso (98,2%) e Cosenza (98%). Le percentuali più basse si registrano nelle aree metropolitane industrializzate: Torino (63,9%), Roma (63,5%) e Milano (51%). Nel Mezzogiorno, quindi, le Pmi garantiscono non solo produzione, ma stabilità sociale ed economica.

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