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Riso italiano in crisi: prezzi dimezzati per effetto delle importazioni selvagge

giovedì, 23 Ottobre 2025
2 minuti di lettura

Il prezzo del riso italiano crolla sotto i costi di produzione, mettendo in seria difficoltà migliaia di aziende agricole del Paese. A denunciarlo è Coldiretti, che lancia un allarme sulla tenuta dell’intera filiera risicola nazionale a poche settimane dall’avvio della nuova raccolta. Secondo l’organizzazione agricola, le quotazioni all’origine di varietà pregiate come Carnaroli e Arborio si sono quasi dimezzate: da 1-1,10 euro al chilo registrati fino a pochi mesi fa, i produttori oggi si vedono riconoscere 60-70 centesimi al chilo, nonostante una produzione stabile rispetto al 2024. Un livello ritenuto insostenibile, perché inferiore ai costi necessari per coltivare, lavorare e trasformare il risone.
A pesare sui prezzi è l’impennata delle importazioni di riso straniero, cresciute del 10% nei primi sette mesi del 2025 per un totale di 208 milioni di chili, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.
Una dinamica che altera la concorrenza interna e che risulta aggravata da tre fattori: il 60% del riso importato beneficia di tariffe agevolate; il 50% arriva già confezionato, pronto per il consumo; le importazioni dai Paesi meno sviluppati (PMS) sono salite da 9 a quasi 50 milioni di chili dal 2009 grazie al regime EBA – Everything But Arms. Secondo Coldiretti si tratta di un vero e proprio dumping, reso possibile dall’uso di pesticidi vietati in Europa e da pratiche produttive non conformi agli standard comunitari, tra cui il sospetto di sfruttamento del lavoro minorile. Una situazione che potrebbe peggiorare, avverte l’associazione, con un possibile futuro accordo commerciale UE-India.

Clausola di salvaguardia “vuota”

Preoccupazione anche da Bruxelles, dove si discute la revisione del Regolamento sul Sistema delle Preferenze Generalizzate (SPG). La nuova clausola di salvaguardia, pur resa automatica, secondo Coldiretti rischia di essere inefficace: scatterebbe solo oltre la soglia delle 600mila tonnellate di riso lavorato importato, a fronte di un massimo storico che non ha mai superato le 560mila tonnellate. Per l’associazione, il meccanismo così formulato non protegge né il riso europeo né quello italiano.
Il tema delle importazioni preoccupa anche sul fronte Mercosur. Dai Paesi del blocco sudamericano sono già arrivati oltre 5 milioni di chili di riso nel 2025, avviando l’anno verso un record.

Poca trasparenza

L’intesa commerciale con l’Unione Europea prevede l’ingresso a dazio zero di fino a 60 milioni di chili di riso lavorato, che andrebbero a sommarsi alle quantità già importate. Un rischio notevole, sottolinea Coldiretti, considerando che il Brasile è il primo produttore extra-asiatico al mondo, con una capacità di esportazione di 2,4 miliardi di chili di riso lavorato. Per Coldiretti l’accordo con il Mercosur è sbilanciato perché manca di reciprocità: nei Paesi sudamericani vengono utilizzati fitofarmaci vietati in UE, la manodopera costa meno e i controlli sanitari sono meno severi.
L’associazione chiede inoltre maggiore trasparenza per i consumatori, con la cancellazione della regola sull’origine legata al codice doganale e l’obbligo di indicare sempre l’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari venduti nell’Unione.
Alla concorrenza sleale si somma il caro-prezzi. Negli ultimi anni i costi di produzione sono aumentati a doppia cifra: fertilizzanti, energia e mezzi tecnici pesano sui bilanci delle aziende agricole, con valori ancora molto superiori rispetto al periodo pre-Covid e pre-guerra in Ucraina. Un contesto che schiaccia ulteriormente i margini delle imprese.

Un’eccellenza nazionale da salvaguardare

L’Italia resta il principale produttore di riso in Europa, con 1,4 miliardi di chili di risone all’anno, secondo Coldiretti. La coltivazione si concentra soprattutto nel Nord, in particolare tra: Pavese – 83.000 ettari Vercelli e Novara – 100.000 ettari complessivi. A questa filiera partecipano oltre diecimila famiglie tra imprenditori agricoli e lavoratori.

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