mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Attualità

Se il social diventa editore

La recente polemica tra Twitter e il presidente Trump ripropone il tema della responsabilità dei social network per quanto riguarda i contenuti che essi ospitano e quindi divulgano.

Regolamentare questa materia è complesso perché se da un lato non bisogna minare la grande opportunità di libertà che i social network consentono dall’altro occorre tutelare sia chi è oggetto di messaggi che ledono la sua dignità sia l’opinione pubblica che si informa attraverso questi canali e che è spesso vittima di fake news e di manipolazioni.

La domanda è: chi gestisce un social network può essere obbligato a sorvegliare i contenuti che riceve e pubblica? In passato si diceva che questo era impossibile e troppo oneroso. Anche un direttore di giornale è materialmente impossibilitato a leggere tutto quello che viene pubblicato sul suo giornale eppure ne risponde. Certo, i contenuti che passano sui social sono molto più numerosi, ma algoritmi ben costruiti consentirebbero di individuare quelli a più alto rischio per l’argomento, la terminologia e i personaggi coinvolti.

Quanto al costo, beh a giudicare dai bilanci e dalle capitalizzazioni di borsa dei colossi dei social che, prima del Covid, si aggiravano intorno ai 1000 miliardi, …non si può dire che le risorse manchino. Se i social ti fanno guadagnare tanto puoi pure spendere qualcosa per evitare che divengano strumenti di odio, di offesa alle persone, veicolo di falsità e strumento di inquinamento delle coscienze e delle elezioni democratiche.

È vero che i social sono, apparentemente, ad accesso gratuito. Ma i loro gestori utilizzano i dati personali per la profilazione utile agli inserzionisti pubblicitari, i loro algoritmi consentono di individuare i trending feeds, con maggiori interazioni tra gli utenti per l’invio di pubblicità mirate. Insomma i gestori dei social network non sono dei mecenati della libertà di espressione né sono dei neutri spettatori di quel che accade nelle loro gigantesche vetrine.

Essi intervengono per evidenziare delle news rispetto ad altre per ciascun utente, quindi fanno una selezione di quello che secondo loro è interessante che io legga. Decidono cosa fa notizia, più o meno come un direttore di giornale. Non solo.

Essi dispongono di vere e proprie redazioni che selezionano notizie, producono contenuti, intervengono sugli users generated contents. Insomma non stanno solo alla finestra. E possono perfino trarre vantaggio dalla circolazione di notizie false.

Una fake news clamorosa aumenta notevolmente i volumi di traffico e questo genera ulteriori benefici per il gestore del social network.

Diamo per scontato che essi debbano rimuovere tempestivamente contenuti su ordine della magistratura e che debbano fare altrettanto sulla base di diffide di persone che sentono lesi i loro diritti da contenuti offensivi, diffamatori o calunniosi.

Ma non ci si può limitare a questo. È giusto chiedere ai gestori dei social network non solo di aumentare la vigilanza e la raccolta di segnalazioni circa contenuti illeciti o scorretti ma anche di assumersi tre specifiche responsabilità

La prima: identificare la reale identità degli   autori di contenuti illeciti, offensivi e improprie rendendo più rigide le procedure di registrazione di coloro che chiedono di aprire profili per accertarsi di chi si nasconda dietro un nickname o una identità apparentemente credibile.

La seconda: disporre una sorta di “DASPO” per escludere dai social gli utenti scorretti per un periodo di tempo commisurato alla gravità del loro comportamento.

La terza: inserire un disclaimer quando pubblicano notizie clamorose che non siano state ancora controllate e verificate in modo da mettere sul chi va là il lettore che deve sapere che quello che legge ancora non può essere considerato vero   e provato.

Nei fatti i social network hanno molti comportamenti simili a quelli degli editori e devono assumersi responsabilità in qualche modo analoghe.

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