Dalle sabbie del deserto egiziano ai divani delle nostre case, il gatto ha attraversato millenni di storia con passo felpato e sguardo enigmatico. Non è solo un animale domestico: è un simbolo, un mito, un interlocutore silenzioso che ha saputo conquistare imperi e poeti, sacerdoti e scienziati.
La storia del gatto comincia molto prima della storia dell’uomo. I suoi antenati risalgono a circa 50 milioni di anni fa, quando il Miacis, un piccolo carnivoro arboricolo, diede origine alla famiglia dei felidi. Tra i suoi discendenti, il Felis lybica—gatto selvatico africano—è considerato il progenitore diretto del gatto domestico (Felis catus). La sua eleganza, la sua abilità nella caccia e la sua indipendenza lo resero un alleato prezioso per le prime civiltà agricole.
In Egitto, il gatto divenne sacro. Associato alla dea Bastet, protettrice della casa e della fertilità, era venerato, protetto e persino mummificato. Uccidere un gatto, anche per errore, era punito con la morte. Le famiglie lo accoglievano non solo per tenere lontani i roditori, ma come presenza benevola e spirituale. Le sue movenze erano considerate divine, il suo sguardo un ponte tra il visibile e l’invisibile. La venerazione era tale che secondo lo storico greco Polieno influenzò la curiosa Battaglia di Pelusio del 525 a.C., durante la conquista dell’Egitto da parte dei Persiani guidati da Cambise II, re dell’Impero achemeni. Pare che CambiseII avrebbe sfruttato la venerazione egizia per i gatti in modo strategico: I Persiani avrebbero dipinto gatti sugli scudi o addirittura lanciato gatti e altri animali sacri (come ibis e cani) contro le linee egizie. Gli Egizi, per timore di ferire animali sacri e incorrere nell’ira divina, esitarono a combattere, causando il collasso della loro difesa a Pelusio, città chiave sul delta del Nilo.
Con il commercio e le conquiste, il gatto si diffuse in Grecia, Roma, e poi in tutta l’Europa. I Romani lo apprezzavano per la sua utilità e lo portarono con sé nelle province. Ma nel Medioevo, il suo destino cambiò. La Chiesa lo associò al diavolo e alla stregoneria. Nero, notturno, indipendente: il gatto incarnava tutto ciò che sfuggiva al controllo. Fu perseguitato, bruciato, cacciato. Diverso il suo destino nel mondo islamico dove il gatto si guadagnò rispetto avendo salvato il Profeta. In ogni caso il gattosopravvisse.
Con il Rinascimento, il gatto tornò a essere apprezzato. Comparve nei dipinti, nei racconti, nelle case borghesi. Nel XIX secolo, la sua domesticazione si consolidò, e nacquero le prime razze selezionate. Oggi, il gatto è uno degli animali domestici più diffusi al mondo. Ma non ha mai perso la sua aura di mistero. A differenza del cane, non obbedisce: dialoga. Non si sottomette: convive, quando non è lui ad addestrare il proprietario.
Ancora oggi l’ aura di mistero permane, sebbene priva dei connotati esoterici. Gli scienziati ancora non si spiegano come il gatto faccia le fusa. Un noto scienziato e divulgatore scientifico (credo Neil deGrasse Tyson o Sagan, ma potrei sbagliare sulla paternità) disse: “Nella vita non c’è nulla che la scienza non possa spiegare, ad eccezione di Dio….” poi si fermò, ci pensò un attimo e aggiunse “…e del gatto”
Il gatto è stato simbolo di libertà, di femminilità, di alterità. Baudelaire lo cantò nei suoi versi, Leonardo lo studiò nei suoi schizzi, Borges lo evocò nei suoi sogni. È animale da salotto e da strada, da poesia e da scienza. È il compagno silenzioso che ci osserva mentre scriviamo, come se sapesse già il finale. E forse lo sa.