È iniziato oggi a Nîmes, nel sud della Francia, il processo d’appello contro Husamettin Dogan, uno dei 51 uomini condannati per aver violentato Gisèle Pelicot, la donna che ha trasformato il suo calvario in una battaglia pubblica contro la violenza sessuale. Dogan, 44 anni, era stato condannato a nove anni di carcere nel dicembre scorso, ma ha ottenuto la possibilità di ricorrere in appello, sostenendo di essere stato “ingannato” dal marito della vittima. Il caso Pelicot ha scosso l’opinione pubblica francese e internazionale: per anni, Gisèle è stata drogata dal marito Dominique, che la rendeva incosciente per poi farla violentare da decine di sconosciuti, reclutati online. Il processo di primo grado ha portato alla condanna di 51 uomini, compreso il marito, che ha ricevuto la pena massima di 20 anni. Gisèle ha scelto di rendere pubblico il suo nome e la sua storia, diventando un simbolo di resistenza e denuncia. Nel processo d’appello, Dogan sostiene di aver creduto che la donna fosse consenziente e che si trattasse di un gioco erotico. “Non sono uno stupratore,” ha dichiarato, “è stato il marito a orchestrare tutto.” Ma per Gisèle, che ha deciso di essere presente in aula, non esistono attenuanti: “Uno stupro è uno stupro, non importa quanto piccolo o confuso possa sembrare,” ha detto il suo avvocato. Il procedimento durerà quattro giorni. Dominique Pelicot testimonierà martedì, mentre Gisèle parlerà mercoledì. La sua presenza, secondo i legali, è “un atto di responsabilità verso tutte le donne che non possono farlo”. Il caso continua a sollevare domande profonde sul consenso, la complicità e la giustizia. E mentre la Francia guarda a Nîmes, Gisèle Pelicot torna a combattere, ancora una volta, per il diritto di essere creduta.
