Ieri è maturata la cornice per un nuovo round di colloqui tra Israele e Hamas in Egitto. La delegazione della fazione palestinese — guidata da Khalil al-Hayya, riapparso in pubblico dopo il fallito raid israeliano a Doha di un mese fa — è attesa al Cairo e quindi a Sharm el-Sheikh, dove domani saranno presenti anche gli inviati statunitensi Steven Witkoff e Jared Kushner. Hamas ha dato un sì con riserva al piano Usa di cessate il fuoco e scambio di ostaggi, chiedendo una rappresentanza islamica nella gestione dell’area e un programma rigido per il ritiro delle Forze di difesa israeliane dalla Striscia. A fotografare le tensioni interne al fronte pro-accordo, la ricostruzione di Axios sulla telefonata di ieri tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Al premier che sminuiva la risposta di Hamas, il presidente Usa avrebbe ribattuto: “Perché sei sempre così fottutamente negativo? Questa è una vittoria, accettala”, a conferma della volontà della Casa Bianca di chiudere la guerra se Hamas accetterà i termini. In parallelo, Trump ha postato su Truth una veduta di Tel Aviv con lo striscione “Ora o mai più”, interpretata come un’esortazione a siglare l’intesa. Oggi al tavolo egiziano si testerà quindi la fattibilità del piano in 20 punti sponsorizzato dagli Usa: cessate il fuoco, rilascio tutti gli ostaggi (vivi e caduti), creazione del board di transizione, riunificazione Gaza-Cisgiordania, corridoi umanitari senza limiti e percorso verso il completo ritiro israeliano. Netanyahu parla di giorni decisivi; Hamas prende tempo ma non vuole arrivare al secondo anniversario del 7 ottobre senza tregua. Tra pressioni incrociate e diplomazia d’urto, l’alternativa evocata da Washington è la più cupa: o si firma, o si precipita.
Le condizioni in campo
Resta il nodo della presenza militare israeliana e del governo del dopo-Gaza. Netanyahu, in un messaggio tv, ha ribadito che “i rapiti torneranno” ma che l’Idf resterà nei territori che controlla. Hamas, secondo fonti palestinesi, punta a un calendario vincolante di ritiro e alla consegna degli ostaggi vivi e, con tempi più incerti, al recupero dei deceduti. Sul piano amministrativo, i Paesi musulmani (Giordania, Emirati, Indonesia, Pakistan, Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto) hanno accolto con favore la disponibilità di Hamas e l’ipotesi di un comitato tecnocratico palestinese supervisionato da un organismo internazionale di transizione (tra i nomi circolati, Tony Blair).
Fuoco sul terreno
Mentre si prepara la diplomazia, bombardamenti e artiglieria hanno continuato a colpire ieri la Striscia: fonti ospedaliere parlano di almeno 10 morti, tra cui cinque persone uccise mentre tentavano di rientrare a Gaza City. Al Jazeera denuncia quattro vittime tra i richiedenti aiuti a Rafah. Da parte sua, l’Idf sostiene che Gaza City sia “quasi svuotata” (900mila evacuati su ~1 milione), ma l’Ocha ha stimato il 2 ottobre che centinaia di migliaia di civili restino ancora nella città e nel governatorato settentrionale. Sul fronte interno israeliano, si è insediato il nuovo capo dello Shin Bet, David Zini, con gli auguri di Netanyahu per l’“enorme missione”.
Ostaggi e appelli internazionali
Il Segretario di Stato Usa Marco Rubio ha affermato che per liberare gli ostaggi “gli attacchi dovranno cessare: non si rilasciano ostaggi sotto le bombe”. Trump, più netto, ha avvertito che Hamas rischia l’“annientamento completo” se non cederà il potere a Gaza. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha definito la pace “più vicina”, annunciando la partecipazione italiana alla ricostruzione (riunione a Parigi il 9 ottobre e poi conferenza in Egitto), anche con eventuale impiego di militari per la sicurezza. Dal Vaticano, il Papa ha espresso dolore per la sofferenza del popolo palestinese e preoccupazione per l’odio antisemita, auspicando “cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi”.
Cisgiordania e minacce regionali
In Cisgiordania le autorità israeliane hanno approvato la confisca di 35,31 dunum a Kafr Qaddum (Qalqilia) per ampliare l’insediamento di Mitzpe Yishai: un nuovo segnale di accelerazione degli insediamenti denunciata dai palestinesi. Sul fronte yemenita, l’Idf ha intercettato un missile lanciato dagli Houthi: dall’inizio della ripresa dell’offensiva su Gaza (18 marzo) è il 91° balistico diretto verso Israele, oltre a 41 droni. Sul dossier Flotilla, Ankara chiede il rilascio dei cittadini turchi ancora detenuti.



