Le piccole e medie imprese italiane continuano a rappresentare l’ossatura dell’economia nazionale, garantendo il 76,5% dell’occupazione e producendo circa il 65% del valore aggiunto complessivo. Ma la loro forza numerica non si traduce più in peso economico: secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, nel decennio 2012-2022 la quota di fatturato generata dalle aziende con meno di 49 addetti è scesa dal 49% al 42%, segnalando una progressiva perdita di rilevanza. A frenare le Pmi è soprattutto la frammentazione: micro e piccole imprese restano la maggioranza, con una struttura che limita la capacità di investimento e la competitività internazionale. In questo scenario, le aggregazioni – fusioni, consorzi, joint venture e reti d’impresa – rappresentano uno dei pochi strumenti di rafforzamento. A fine 2024 i contratti di rete attivi in Italia erano 9.630 (+8,1% rispetto al 2023), con circa 50.300 imprese coinvolte (+6,5%). Numeri incoraggianti ma ancora insufficienti: le reti restano piccole (4-5 aziende in media) e concentrate soprattutto nel Nord Italia.
Il report evidenzia che le imprese organizzate in gruppi generano oltre il 64% del fatturato nazionale e il 57% del valore aggiunto, dimostrando una maggiore resilienza e capacità di investimento. Un esempio concreto arriva dalle medie imprese industriali che, tra il 2014 e il 2023, hanno registrato un +31,3% nella produttività del lavoro, superando i risultati di Germania, Francia e Spagna.
Digitalizzazione: passi avanti
Un altro nodo cruciale resta l’innovazione tecnologica. Nel 2024 solo l’8,2% delle Pmi con almeno 10 addetti utilizzava tecnologie di intelligenza artificiale, in lieve crescita rispetto al 2023 (5,0%). Il 70,2% ha raggiunto un livello base di digitalizzazione, ma appena il 26,2% si colloca su livelli avanzati. Il rischio, avverte Unimpresa, è che la transizione digitale continui a procedere a due velocità, con le piccole realtà destinate a rimanere indietro. Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa Marco Salustri la questione non è solo economica ma strategica: “Le piccole e medie imprese italiane sono da sempre il motore dell’occupazione, dell’innovazione e della vitalità territoriale. Ma troppo spesso questo motore, ricco di know how, lavora a cilindri isolati, frammentato e vulnerabile. L’aggregazione consente di superare limiti strutturali e affrontare le sfide globali con maggiore forza. Significa investire insieme in ricerca, digitalizzazione ed export, condividere competenze e ridurre i costi”.
Ministero del Made in Italy sotto accusa
Salustri indica anche la strada da percorrere: incentivi fiscali mirati per rendere le aggregazioni più convenienti. Tra le proposte: crediti d’imposta per fusioni e acquisizioni, detrazioni sugli investimenti congiunti in innovazione e formazione, sgravi contributivi per nuove assunzioni post-aggregazione, esenzioni temporanee da imposte locali e accesso prioritario ai fondi europei. Sul fronte delle politiche pubbliche, il giudizio di Unimpresa è severo: “Le iniziative del Ministero del Made in Italy si sono rivelate troppo generiche e penalizzanti per chi prova a fare rete. La burocrazia resta un ostacolo enorme: procedure lente e complesse scoraggiano le imprese meno strutturate. Inoltre, la promozione estera è poco mirata e finisce spesso per favorire le grandi aziende, lasciando indietro le Pmi”.
Il report segnala anche un fenomeno preoccupante: l’occupazione cresce (+1,5% nel 2024), sostenuta soprattutto dai contratti a tempo indeterminato, ma non sempre accompagnata da un aumento del valore aggiunto. Un campanello d’allarme che conferma come le PMI, prese singolarmente, facciano fatica a innovare e a migliorare l’efficienza.