Pagare 2 euro per un espresso al bar potrebbe non essere più un’ipotesi remota, ma una realtà già entro la fine del 2025. È la previsione contenuta in un report del Centro studi di Unimpresa che fotografa una tendenza in atto da cinque anni e destinata a cambiare le abitudini quotidiane degli italiani.
Dal 2020 a oggi, infatti, il prezzo medio della tazzina è passato da 0,87 euro a oltre 1,30, con punte di 1,43 euro in alcune città del Nord. Se le attuali dinamiche di mercato resteranno invariate, la soglia simbolica dei 2 euro non tarderà ad arrivare, sancendo un incremento superiore al 50% rispetto a soli cinque anni fa.
In termini assoluti, la spesa per il caffè incide ancora pochissimo sul bilancio familiare: meno dell’1% del totale delle uscite annuali. Ma il peso del caffè in Italia non si misura con le cifre. L’espresso è un rito identitario, un gesto che scandisce la giornata lavorativa, il momento della pausa, il saluto tra amici.
È proprio questa sua funzione simbolica a trasformare l’aumento dei prezzi in una questione sociale prima ancora che economica. “Se il suo prezzo diventa proibitivo il rischio è che venga percepito come un lusso e perda quella dimensione democratica che lo ha reso unico nel mondo” avverte Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale di Unimpresa.
Le ragioni della corsa
Dietro l’impennata non c’è un solo fattore, ma un insieme di elementi che si concatenano lungo l’intera filiera: dal raccolto nei campi tropicali fino al bancone dei bar italiani. Il cambiamento climatico ha colpito duramente i Paesi produttori: Brasile e Vietnam, che insieme forniscono circa metà della produzione mondiale, sono stati interessati da siccità e piogge torrenziali che nel 2024 hanno ridotto i raccolti fino al 20%, facendo schizzare i prezzi dei chicchi grezzi dell’80%.

A questo si è sommata la speculazione finanziaria: i futures del Robusta hanno superato quota 4.000 dollari a tonnellata nel 2024, mentre ad agosto 2025 l’Arabica ha toccato i 359,32 dollari per libbra, con un incremento annuo del 44%.
Anche i costi energetici e logistici hanno avuto un ruolo decisivo, con la torrefazione che ha visto crescere l’incidenza dell’energia del 30% tra 2021 e 2024 e con i noli marittimi raddoppiati rispetto al 2021, complicati dalle congestioni a Suez. L’inflazione ha fatto il resto: imballaggi aumentati del 15-20% dal 2022 e manodopera più cara del 10% in Sud America. A gravare ulteriormente è stato l’impatto delle nuove normative europee contro la deforestazione, che impongono agli importatori sistemi di tracciabilità e certificazioni, stimati in un aggravio del 5-10% sul prezzo finale.
Una traiettoria in cinque anni
Il percorso dell’aumento è stato graduale, ma costante. Nel 2020, in un contesto di stabilità pre-pandemica, il prezzo medio era di 87 centesimi. Già nel 2021, con le prime tensioni post-Covid sui trasporti e sulle materie prime, si è saliti a 1,03 euro.
Nel 2023 la media nazionale ha toccato 1,18 euro, con forti differenze territoriali: 99 centesimi a Catanzaro contro oltre 1,30 euro a Bolzano e Trento. Nel 2024 la soglia di 1,30 euro è stata superata, con un rialzo del 40% rispetto al 2020, mentre all’inizio del 2025 la media nazionale era 1,22 euro, con punte di 1,43 a Bolzano.
I dati e le proiezioni confermano quindi una corsa che, se non verrà interrotta, porterà al traguardo dei 2 euro entro la fine dell’anno.
Un settore solido
Nonostante le difficoltà, il mercato italiano del caffè resta robusto. Ogni anno si consumano 327 milioni di chili di verde, pari a circa 5,5 chili pro capite, per un valore di 5,2 miliardi di euro che, secondo le stime, supererà i 6 miliardi entro il 2030.
L’export già oggi vale 2,3 miliardi. Negli ultimi due anni i consumi interni hanno però registrato un calo del 6,9%, segno della perdita di potere d’acquisto delle famiglie.
A crescere è stato il segmento delle capsule e delle cialde, che vale ormai il 16,2% delle vendite nella grande distribuzione e garantisce margini di redditività fino al 60%, molto più elevati rispetto al caffè tradizionale.
Le sfide per produttori e distributori
Per gli operatori della filiera, la difesa dei margini diventa la priorità. Con i costi di produzione in crescita, la strategia punta sui segmenti premium e monoporzionati, capaci di generare ricavi più elevati, ma anche sulla diversificazione: diverse aziende stanno sperimentando alternative al caffè tradizionale, dai ceci ai semi di dattero, per ridurre la dipendenza dai raccolti tropicali e affrontare la sfida climatica.
Parallelamente, la sostenibilità è diventata un requisito imprescindibile, sia per rispettare le normative europee sia per intercettare la domanda di un consumatore sempre più attento all’impatto ambientale.
Normative Ue e tracciabilità
Le nuove regole contro la deforestazione sono uno degli elementi più incisivi nelle prospettive di costo. Obbligano gli importatori a certificare la provenienza dei chicchi e a garantire la tracciabilità dell’intera filiera. L’obiettivo è salvaguardare l’ambiente, ma l’impatto economico è significativo: si stima che i costi aggiuntivi incidano tra il 5 e il 10% sul prezzo finale, colpendo soprattutto i piccoli produttori che hanno meno mezzi per adeguarsi.
Secondo Unimpresa, il traguardo dei 2 euro a tazzina appare inevitabile entro il 2025. Ma non mancano previsioni alternative che ipotizzano un’inversione della tendenza già nel 2026, in caso di buoni raccolti in Brasile e Colombia e di un alleggerimento delle pressioni normative. La Banca Mondiale, a esempio, prevede per il 2025 un aumento del 50% dei chicchi Arabica e del 25% del Robusta, seguito però da un calo compreso tra il 9 e il 15% nel 2026.
Il valore simbolico di una tazzina
“Dal 2020 a oggi”, osserva ancora Lupo Albore, “il prezzo della tazzina è salito del 40% e corre verso un raddoppio. È la prova tangibile di come eventi globali, dal clima all’energia fino ai mercati, possano riflettersi in un gesto semplice e quotidiano”. Se davvero gli italiani si troveranno a pagare 2 euro per un espresso, resta una certezza: il caffè in Italia non è mai stato soltanto una bevanda. È un rito che tiene insieme memoria, socialità e identità. Forse proprio per questo, il suo prezzo conta molto più del suo costo.