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Tre milioni di addii al lavoro: l’Italia alla prova del ricambio

Entro il 2029 pensionamenti e uscite dal mercato travolgeranno uffici, fabbriche e cantieri. La Lombardia la più colpita. Allarme dalla Cgia: “Le imprese si contenderanno i migliori”
domenica, 24 Agosto 2025
2 minuti di lettura

Nei prossimi cinque anni l’Italia dovrà affrontare un ricambio generazionale nel mondo del lavoro senza precedenti: oltre 3 milioni di addetti lasceranno uffici, fabbriche e cantieri per raggiunti limiti di età o per altre cause. Una vera ‘fuga dal lavoro’ che rischia di mettere in crisi interi settori produttivi, già oggi alle prese con difficoltà di reperimento di manodopera. L’allarme arriva dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati Unioncamere-Ministero del Lavoro (Sistema Informativo Excelsior). L’impatto sarà enorme: la quota dei lavoratori in uscita equivale al 12,5% dell’intera forza lavoro italiana. Una transizione di massa che non si era mai vista in tempi recenti e che rischia di avere conseguenze sociali ed economiche paragonabili a quelle di una crisi demografica accelerata.

Secondo le stime, 1,6 milioni di addetti appartengono al settore privato (52,8%), 768mila sono dipendenti pubblici (25,2%) e 665mila lavoratori autonomi (21,9%). Una platea vastissima che entro il 2029 dovrà essere rimpiazzata per evitare un collasso della produttività.

Lombardia, Lazio e Veneto le più colpite

Gli imprenditori, che già oggi faticano a trovare personale disponibile, temono il futuro: “Se già adesso le aziende lamentano carenze, tra qualche anno la situazione sarà esplosiva”, ha sottolineato il rapporto. Molte imprese lamentano già oggi difficoltà a reperire figure specializzate, soprattutto nei settori tecnici e industriali, e l’ondata di pensionamenti rischia di esasperare una tensione che da anni frena la competitività del Paese.

Non sorprende che la Lombardia guiderà la classifica: nella regione più industrializzata si stima un esodo di 567.700 lavoratori. Seguono il Lazio (305mila) e il Veneto (291.200). Le regioni meno coinvolte saranno Molise (13.800) e Basilicata (25.700).

In termini percentuali, l’impatto maggiore ricadrà sui dipendenti privati lombardi, che rappresentano quasi i due terzi del totale regionale da rimpiazzare. A farne le spese saranno soprattutto le piccole e medie imprese, che non dispongono di risorse finanziarie sufficienti per attirare lavoratori da altre regioni o dall’estero.

Il peso dei servizi

Il settore più esposto è quello dei servizi, che concentrerà oltre il 72% delle sostituzioni: 2,2 milioni di addetti. In particolare, il commercio dovrà rimpiazzare 379.600 persone, la sanità 360.800 e la Pubblica amministrazione 331.700. Anche l’industria (23,8% del totale) sarà messa alla prova, soprattutto nelle costruzioni (179.300 uscite previste). L’agricoltura, invece, peserà per il 3,6%. Una dinamica che rischia di avere effetti immediati sulla qualità dei servizi ai cittadini, dalla sanità alla scuola, e sulla capacità dello Stato di mantenere in funzione la macchina pubblica.

Il rapporto mette in luce un problema strutturale: l’invecchiamento della forza lavoro. Nel 2023 l’indice di anzianità dei dipendenti privati (rapporto tra over 55 e under 35) ha raggiunto quota 65,2: significa che ogni 100 giovani lavoratori ci sono già 65 dipendenti over 55.

Le imprese si contenderanno i migliori

In alcune regioni minori il dato è ancora più critico: Basilicata (82,7), Sardegna (82,2) e Molise (81,2) sono i territori più sbilanciati verso l’età avanzata. Le aree più ʼgiovaniʼ, pur con valori comunque alti, sono Trentino-Alto Adige (50,2), Lombardia (58,6) e Veneto (62,7). L’Italia, insomma, sta diventando un Paese in cui la forza lavoro attiva è sempre più anziana e poco sostituita da nuove generazioni.

Con milioni di uscite concentrate in pochi anni e pochi giovani pronti a subentrare, il rischio è che le aziende entrino in competizione diretta per accaparrarsi i dipendenti più qualificati. “Gli imprenditori non troveranno sul mercato le competenze necessarie e saranno costretti a strappare i migliori ai concorrenti, alzando gli stipendi”, ha avvertito la Cgia. Una dinamica che potrebbe degenerare in una sorta di ‘ricatto reciproco’ fra aziende e lavoratori, con una guerra dei salari che finirà per penalizzare soprattutto le realtà più piccole e fragili.

Le sfide del futuro

La fotografia scattata dall’Ufficio Studi Cgia non lascia dubbi: l’Italia, già penalizzata da un tasso di natalità in caduta libera e da un cronico disallineamento fra formazione e domanda delle imprese, dovrà affrontare un ricambio generazionale epocale. Nei prossimi anni diventerà cruciale incentivare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, rafforzare le politiche di formazione tecnica e professionale, attrarre manodopera qualificata dall’estero,ridurre il mismatch tra domanda e offerta di competenze.

Il rischio, in caso contrario, è che molte aziende non riescano a rimpiazzare il personale in uscita, con effetti devastanti sulla produttività, sulla qualità dei servizi pubblici e sulla coesione sociale.

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