Nuovi scontri armati hanno scosso la Siria, minacciando la fragile transizione politica avviata dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Nella notte tra venerdì e sabato, violenti combattimenti sono esplosi nella regione costiera di Latakia e Tartus, roccaforti della minoranza alawita, dove gruppi fedeli all’ex presidente hanno ingaggiato le forze governative in una serie di attacchi coordinati. Secondo fonti locali, almeno 70 persone sono morte nei combattimenti, i più gravi dall’insediamento del governo ad interim guidato da Ahmad al-Shara‘, ex leader della coalizione islamista Tahrir al-Sham. Le autorità hanno imposto il coprifuoco in diverse città e dispiegato rinforzi per contenere l’insurrezione, che rischia di compromettere il processo di pacificazione avviato con la “Conferenza per il dialogo nazionale” dello scorso febbraio.
Il governo, che ha prestato giuramento a fine marzo, include rappresentanti di diverse etnie e religioni, ma ha escluso le Forze Democratiche Siriane (SDF) sostenute dagli Stati Uniti, alimentando tensioni nel nord-est del Paese. Il presidente ad interim ha promesso riforme costituzionali e la ricostruzione delle istituzioni, ma la recrudescenza della violenza evidenzia le difficoltà nel garantire stabilità e inclusione. “La Siria è ancora lontana dalla pace,” ha dichiarato Hind Kabawat, ministra degli Affari sociali, durante una conferenza stampa a Damasco. “Serve un impegno collettivo per superare le divisioni e costruire un futuro condiviso.” Mentre la comunità internazionale osserva con cautela, il governo ad interim si trova ora davanti a una sfida cruciale: evitare che il Paese ripiombi nel caos e dimostrare che la transizione non è solo un cambio di leadership, ma l’inizio di una nuova era.
