La tensione tra Thailandia e Cambogia ha raggiunto livelli allarmanti. In meno di 72 ore, gli scontri armati lungo il confine hanno provocato 33 vittime, tra cui almeno 22 civili, e costretto oltre 170.000 persone all’evacuazione. Il governo thailandese ha esteso l’offensiva militare nell’entroterra cambogiano, mentre Phnom Penh ha chiesto formalmente un cessate il fuoco immediato e ha annunciato l’intenzione di ricorrere alla Corte Internazionale di Giustizia. L’epicentro del conflitto è il tempio di Ta Muen Thom, sito religioso khmer conteso da decenni, dove giovedì mattina sono esplosi i primi colpi di artiglieria. Secondo fonti militari thailandesi, l’esercito cambogiano avrebbe aperto il fuoco per primo, provocando la reazione di Bangkok con l’impiego di jet F-16, droni da ricognizione e lanciarazzi BM-21. La Cambogia, dal canto suo, accusa la Thailandia di aver violato la propria sovranità con attacchi mirati a scuole, ospedali e aree residenziali. Il bilancio umano è tragico: 13 morti in Cambogia, di cui otto civili, e 20 in Thailandia, inclusi due minorenni. Il premier ad interim Phumtham Wechayachai ha avvertito che “la situazione potrebbe evolvere in uno stato di guerra”. Sul fronte cambogiano, il primo ministro Hun Manet ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, denunciando “l’aggressione militare sconsiderata” da parte di Bangkok. La crisi affonda le radici in una disputa territoriale irrisolta che risale al 1907, quando la Francia tracciò i confini tra l’allora regno del Siam e la Cambogia coloniale. Il tempio di Preah Vihear, già oggetto di una sentenza della Corte dell’Aia nel 2013, resta simbolo di una rivalità storica mai sopita. La comunità internazionale è in allerta. L’ASEAN, il Giappone e gli Stati Uniti hanno lanciato appelli per una de-escalation e offerto mediazioni diplomatiche.