Il Mediterraneo boccheggia. Il termometro sale, le specie scompaiono, gli equilibri crollano. In occasione della ‘Giornata del Mediterraneo’, il WWF Italia ha riportato ieri in evidenza l’allarme lanciato dal biologo Roberto Danovaro: l’ecosistema marino si trova in uno stato critico. E i segnali arrivano chiari, ogni estate, con ondate di calore sempre più intense. Acque torride, specie in fuga, paesaggi marini desertificati. Il Mediterraneo, scrigno di biodiversità, si trasforma in una trappola per le stesse forme di vita che ospita. Le sue acque, ormai spesso più calde di quelle tropicali, evidenziano con forza gli effetti della crisi climatica.
Secondo Danovaro, biologo marino e Presidente della Comunità scientifica del WWF Italia, la situazione non riguarda più soltanto scenari futuri o modelli teorici. I cambiamenti si manifestano oggi, qui, e il Mediterraneo offre la più evidente tra le cartoline dal fronte climatico.
Un laboratorio naturale sotto pressione
Il Mare Nostrum ricopre meno dell’1% della superficie oceanica mondiale e custodisce appena lo 0,3% delle acque. Ma ospita circa il 10% della biodiversità marina globale. Un paradosso biologico e geografico. La sua conformazione, quella di una sorta di grande piscina salata con profondità contenute e connessioni limitate con l’oceano aperto, lo rende particolarmente vulnerabile. Le sue acque si scaldano a ritmi più elevati rispetto a ogni altro mare.
Danovaro lo definisce un “oceano in miniatura”, utile per osservare fenomeni su scala ridotta ma con implicazioni globali. I segnali che arrivano dal Mediterraneo anticipano quelli che i grandi oceani manifesteranno più lentamente.
Acque più acide
L’anidride carbonica assorbita dal mare reagisce con l’acqua e produce acido carbonico. Il risultato è una progressiva acidificazione delle acque. Nel Mediterraneo il pH è sceso di circa 0,2 unità rispetto a un secolo fa, con un ritmo tre volte superiore a quello degli oceani aperti. Questa variazione altera la chimica marina e compromette la vita di molte specie. Gorgonie, spugne, coralli, cozze e ricci di mare (tutti organismi con strutture calcaree) risentono gravemente di un ambiente sempre più acido. La loro capacità di crescere, riprodursi e resistere ai cambiamenti ambientali si riduce drasticamente.
Le ondate di calore estive modificano la composizione biologica del Mediterraneo. Temperature superiori ai 30°C aprono le porte a ospiti provenienti dal Mar Rosso e dall’Atlantico. Attraverso il Canale di Suez, pesci esotici, microalghe e piante marine tropicali trovano terreno fertile.
L’invasione silenziosa delle specie aliene
Molte specie native, soprattutto quelle abituate ad acque più fredde come nel Golfo di Trieste o nel Mar Ligure, subiscono un duro colpo. Le condizioni non permettono più la loro sopravvivenza. Si assiste così a un’alterazione degli equilibri, con forme aliene che si espandono indisturbate. Durante le estati torride, come quella del 2024, il calore si accumula negli strati profondi. La temperatura supera i 30°C anche a 30 metri di profondità, dove vivono organismi sessili come gorgonie, coralli e spugne.
Questi esseri viventi, fissati al substrato roccioso, non hanno via di fuga. Il calore li sottopone a stress e favorisce la comparsa di malattie. Molti muoiono. In alcune aree, il fondo marino appare come un deserto subacqueo.
Quando il cibo scarseggia
Dalla Corsica alla Riviera del Conero, dalla Costa Azzurra all’Adriatico, si registrano morie massive. La perdita non riguarda solo la biodiversità, ma anche l’economia. Con meno habitat per la riproduzione dei pesci, anche la pesca ne risente. Il riscaldamento delle acque influisce anche sulla disponibilità di cibo. Le microalghe, base della catena alimentare marina, riducono la propria attività. Le macroalghe e le praterie sommerse, come quelle di Posidonia oceanica, collassano sotto l’effetto del caldo.
Nel 2024, molte di queste “foreste marine” sono scomparse. Nel 2025, non tutte hanno mostrato segnali di ripresa. Questo deficit alimentare si traduce in carestie per numerose specie, con effetti a cascata sull’intero ecosistema.
Difendere la biodiversità
La biodiversità rappresenta un’arma contro il cambiamento climatico. Sistemi ricchi di specie mostrano maggiore capacità di adattamento. Un habitat sano reagisce meglio alle perturbazioni. Proteggere la biodiversità non offre solo benefici ecologici, ma anche una strategia per affrontare l’urgenza climatica. Ridurre l’uso di combustibili fossili resta essenziale. Ma per rallentare l’impatto, occorre investire nella protezione della natura e, dove necessario, nel restauro ecologico.
Quando la resilienza degli habitat si esaurisce, entra in gioco il restauro ecologico. Questo approccio interviene direttamente nei sistemi danneggiati per riportarli a una condizione funzionale.
Un progetto per le specie simbolo
L’Unione europea ha incluso il restauro ecologico nella nuova legge per il ripristino della Natura. In molti casi, questa misura rappresenta l’ultima speranza per evitare la perdita definitiva di interi ecosistemi. Per tutelare la fauna marina del Mediterraneo, il WWF partecipa al progetto ‘Life Adapts’. Cofinanziato dall’Unione europea e coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, il progetto coinvolge Italia, Grecia e Cipro.
Tre le specie al centro dell’iniziativa: la tartaruga verde (Cheloniamydas), la tartaruga caretta (Caretta caretta) e la foca monaca (Monachus monachus). Le aree scelte coincidono con habitat cruciali per la sopravvivenza di questi animali, sempre più esposti agli effetti della crisi climatica. Il progetto punta a sviluppare strategie di adattamento che consentano a queste specie di affrontare le sfide ambientali future.