Le strade del Kenya si sono nuovamente infiammate. Il 25 giugno, migliaia di manifestanti – in gran parte giovani – sono scesi in piazza per denunciare brutalità della polizia, corruzione e cattiva amministrazione, in occasione dell’anniversario delle proteste fiscali del 2024. Il bilancio è drammatico: almeno 8 morti confermati, oltre 400 feriti e decine di arresti. Le manifestazioni si sono svolte in oltre 27 distretti del Paese, da Nairobi a Mombasa, passando per Kisumu e Nakuru. A Nairobi, il centro è stato blindato con filo spinato e posti di blocco, mentre la polizia ha usato lacrimogeni e proiettili veri per disperdere i cortei. Secondo Amnesty International Kenya, molte delle vittime sono state colpite da arma da fuoco a distanza ravvicinata. La protesta, inizialmente pacifica, è degenerata dopo che le forze dell’ordine hanno impedito ai manifestanti di avvicinarsi al Parlamento. I giovani chiedevano giustizia per le vittime della repressione del 2024, quando oltre 60 persone furono uccise durante le proteste contro una legge fiscale poi ritirata. Ma oggi, a distanza di un anno, nulla è cambiato, denunciano gli attivisti. Il presidente William Ruto, accusato di aver tradito le promesse di dialogo e riforma, ha risposto con il pugno duro. Il governo ha vietato la trasmissione televisiva delle proteste e accusato alcune ONG di fomentare il dissenso. Intanto, la Law Society of Kenya e la Kenya Medical Association hanno chiesto un’inchiesta indipendente sulla condotta della polizia. Il movimento, coordinato sui social con hashtag come #JusticeForKenya e #StopPoliceBrutality, continua a crescere. Per molti, è il segnale che una nuova generazione non è più disposta a tollerare silenzi e impunità.