Secondo il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI), dall’insediamento del presidente Masoud Pezeshkian, l’8 luglio 2024, l’Iran ha registrato 1.051 esecuzioni capitali, segnando un aumento del 20% rispetto alle 853 del 2023. Durante la campagna elettorale, Pezeshkian si era presentato come un riformista, criticando apertamente il regime per la repressione, l’alto costo della vita e la censura. Tuttavia, nonostante le promesse di cambiamento e l’apertura ai negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti, il numero delle esecuzioni è aumentato, coinvolgendo dissidenti, donne e persino minorenni. Il NCRI ha evidenziato che questa violenza riflette una profonda crisi interna al regime, con Ali Khamenei che utilizza le esecuzioni come strumento di controllo per prevenire rivolte e consolidare il potere. Amnesty International ha denunciato che in Iran bambine di appena 9 anni e ragazzi di 15 possono essere condannati a morte, con almeno 160 minorenni attualmente a rischio esecuzione. L’organizzazione ha ribadito l’urgenza di porre fine a queste pratiche disumane. Nel frattempo, le violazioni dei diritti umani continuano mentre gli Stati Uniti cercano di raggiungere un accordo sul nucleare con Teheran. Maryam Rajavi, leader del NCRI, ha esortato la comunità internazionale a subordinare i negoziati alla cessazione delle torture e delle esecuzioni, proponendo di portare Ali Khamenei e altri leader del regime davanti alla giustizia per crimini contro l’umanità. Ha inoltre invitato i giovani iraniani a unirsi al movimento “No alle esecuzioni”. Nonostante gli appelli, studenti e oppositori devono affrontare una repressione feroce. Le autorità, nel tentativo di soffocare il dissenso, intensificano la lotta contro quelle che definiscono “infiltrazioni culturali” e “stili di vita ostili”, cercando di mantenere il controllo con ogni mezzo.
