mercoledì, 22 Gennaio, 2025
Esteri

La svolta di Trump e certi cattolici masticano amaro

Il presidente Trump con il suo insediamento è ormai nella pienezza dei suoi poteri ed ha fatto già scattare i primi provvedimenti di governo con misure anti immigrazione e controlli severi, via libera a nuove trivellazioni e stop alle regole ambientali. Sono già pronte anche le riforme per rompere con la cultura progressista e per eliminare nell’amministrazione come nelle scuole programmi e norme contro il razzismo, l’inclusione, la diversità di genere. Per questo, tra gli altri, ha individuato come Segretario all’energia, Chirs Wright che ha sempre attaccato la transizione verso le fonti energetiche rinnovabili e nega l’esistenza di una crisi climatica; come il segretario alla Sanità, Robert F. Kennedy JR, un no vax, avvocato ambientalista ed erede di una delle famiglie democratiche più note d’America, contrario ai vaccini ed ai centri per il controllo e la prevenzione delle malattie; come il Segretario all’Interno, Dough Burgum, che ha legami con i grandi gruppi petroliferi. Ed ha scelto come ambasciatore USA in Vaticano un cattolico vero, che non fa sconti al pensiero unico e politicamente corretto e tanto meno è aperto a suggestioni moderniste ed a derive del tipo teologia della liberazione. Brian Burch infatti è presidente di CatholicVote, che difende l’insegnamento di sempre della Chiesa, padre di nove figli e cofondatore di CatholicVote. Burch ha dedicato la sua vita a spingere i cattolici a praticare la fede nella vita pubblica, ha preso posizioni coraggiose su questioni cruciali a favore dei centri pro-vita. Per questo ha subito le critiche dei cattolici progressisti che lo etichettano come “guerriero culturale”. Con la Croce e la Spada. La sua nomina certifica il peso che hanno avuto i cattolici statunitensi nella campagna elettorale che è stato subito riconosciuto nella futura amministrazione Trump.

Proprio per questo lo spostamento elettorale in direzione conservatrice ha fatto saltare i nervi alle commentatrici progressiste, sopratutto quelle di casa nostra, le quali se la sono presa con “le donne che hanno votato contro le donne”. Natalia Aspesi, oltre ad augurasi che a Trump venisse l’Alzheimer, si disperava per il “tradimento delle giovani nere”. Maria Laura Rodotà accusava quelle “donne che contribuiscono a rendere gli Usa una nazione “nera-vetero-patriarcale”. Tutti i media avevano stabilito che massimo interesse della popolazione femminile dovesse essere il “diritto all’aborto”. Ma la gran parte delle donne americane si è dimostrata invece interessata ad altro o in qualche caso addirittura ai temi pro Life.

Anche da certo mondo cattolico italiano arrivano bordate. L’economista Stefano Zamagni sostiene che ora gli Stati Uniti finiranno nelle mani dei super ricchi e degli esponenti del nuovo capitalismo oligarchico della Silicon Valley. “Scende la notte sulla democrazia americana. La vittoria straripante di Donald Trump cambia antropologicamente oltre che politicamente la bussola della politica trasformando il Paese in un’oligarchia liberale, una società tecno-liberista, guidata da oligarchie miliardarie e onniscienti. Eppure Zamagni è la persona che quando 181 grandi manager firmarono il manifesto della “Business Rountable” espresse giudizi sostanzialmente positivi: “non si tratta di esprimere un giudizio sull’autenticità o meno delle motivazioni intrinseche dei 181 Ceo quanto piuttosto di riconoscere che quella dichiarazione di principio sia stata firmata”. Mentre Zamagni averebbe dovuto sapere che, tra quei firmatari c’erano aziende che non si erano comportate bene, che avevano compiuto truffe e che avevano violato i diritti più elementari dei propri dipendenti, pagando stipendi da fame e sfruttandoli.

Come mai quindi Zamagni dà ora giudizi cosi differenti sui “ricchi” statunitensi? Supponiamo il perché. Nel passato è stato l’ispiratore di liste civiche in appoggio allo schieramento di sinistra guidato dal PD. “Saremo autonomi ma non equidistanti non neutrali perché con i populisti non potremo mai starci” – dichiarò a Repubblica alla vigilia delle elezioni comunali bolognesi del 2021 – . E’ logico quindi che il professore rosichi, come tutti i cattolici progressisti per la vittoria di Donald Trump.

E’ evidente, dunque, la delusione di una parte del nostro mondo cattolico che preferiva l’abortista, fautrice del gender e della cultura woke, Harris, al conservatore Trump. E lo si può capire perché in Italia ove secondo un rapporto commissionato dalla Cei la Chiesa è percepita solo come una Ong fai-da-te e la popolazione pur dichiarandosi per il 71,1% cattolico, sopratutto per quanto riguarda la morale sessuale non segue per niente la dottrina.

Questo perché, come giustamente ha osservato il presidente del Censis, l’amico Giuseppe De Rita, la Chiesa è china sui bisogni materiali e non soddisfa quelli più profondi: «La zona grigia nella Chiesa di oggi… è il risultato dell’individualismo imperante, certo, ma anche di una Chiesa che fatica ad indicare un “oltre”, la Chiesa ha sempre aiutato la società italiana ad andare oltre, deve ritrovare questa sua capacità, perché una Chiesa solo orizzontale non intercetta chi è ubriaco di individualismo, perché a costoro non basta sostituire l’Io con un “noi”, hanno bisogno di un oltre, hanno bisogno di andare oltre l’io»… Alle persone non bastano il pane e l’amicizia – ossia la soddisfazione dei bisogni primari e della socialità, due tasti su cui la Chiesa continua a battere – le persone hanno sete di Dio. E in merito alla strada per trovarlo la Chiesa latita nella sua pastorale”. Da ciò l’irrilevanza politica del mondo cattolico italiano. Ma questa differenza con la chiesa statunitense non basta a spiegare da sola la grande vittoria di Trump. L’altro fattore determinante è quello che registra Stefano Fassina in un articolo equilibrato e serio apparso su “Il Fatto Quotidiano” che esordisce riconoscendo «lo choc del circuito politico-mediatico liberal-democratico di fronte alla stravittoria di Donald Trump nella più temuta corsa alla Casa Bianca della storia recente. La ragione l’ha sintetizzata a caldo Bernie Sanders: “Non dovrebbe sorprendere che un Partito democratico che ha abbandonato la classe operaia scopra che la classe operaia lo ha abbandonato. Prima, era la classe operaia bianca, e ora ci sono anche lavoratori latini e neri”. La disfatta delle “oligarchie liberali”».

La verità è, insomma che, come ha dichiarato l’analista Jeffrey Tucker: “La sua vittoria è simile al crollo del Muro di Berlino. Queste elezioni erano un referendum sulla libertà di parola e s’è visto che la gente ormai diffida dei media mainstream” oppure come ha scritto Marcello Veneziani: “Con Trump finalmente si torna alla realtà. Tutto l’establishment, tutti i giornali e tutti gli analisti hanno raccontato un mondo che a conti fatti non esiste. Il divorzio tra popolo ed élite non è mai stato più netto. Ora usciamo dalla bolla e dai suoi manicheismi”.
Il futuro per noi italiani e per noi europei potrebbe aprirci grandi opportunità anche in termini di sovranità nazionale e di autonomia continentale.

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