Nel dibattito sull’introduzione dello “Ius Scholae” vanno considerate le tante storie personali di chi è venuto in Italia e si è perfettamente integrato nella nostra comunità, nella nostra cultura, nelle nostre tradizioni, nella nostra storia. Come ho avuto modo di constatare personalmente, grazie alla mia famiglia, in Italia esistono già oggi esperienze di straordinario valore umano e sociale, che vanno studiate e delle quali bisogna tener conto, per approdare a una normativa che aiuti l’Italia a gestire il fenomeno dell’immigrazione legale e ad arricchire il proprio patrimonio etnico e culturale, integrando chi dimostra realmente e seriamente di meritarsi la nostra cittadinanza. Voglio partire dalla storia di una famiglia del Bangladesh, che da anni lavora al servizio della mia, per arrivare a una soluzione ragionevole di sostegno alla proposta di legge sullo “Ius Scholae” al centro dell’odierno dibattito e sul tavolo della politica proprio in questi giorni.
Dodici anni fa ho assunto un giovane del Bangladesh come collaboratore domestico, che ho ospitato a casa mia; dopo sette anni ha portato qui da noi la moglie e le tre figlie, sempre ospiti a casa mia. Le figlie si sono iscritte rispettivamente alla scuola media, alle elementari e alla materna, poi sono stati concepiti e nati sempre a casa mia altri due bambini. Ho messo loro a disposizione un altro appartamento più grande e li ho aiutati ad integrarsi e praticamente a “fondersi” con la comunità che li ospita, riscontrando la loro disponibilità ed il loro amore per il nostro Paese. Oggi quella famiglia e quei ragazzi, che parlano bene la lingua italiana che vestono in jeans e T-shirt, che festeggiano come noi le festività, che chiamano e considerano me e mia moglie come i loro nonni, che preferiscono la pizza e gli spaghetti ai cibi del loro paese di origine; che a Natale aspettano e ricevono regali da Babbo natale e da Bambin Gesù; che ora che sono in vacanza in Bangladesh non vedono l’ora di rientrare in Italia, per ritrovare i loro amici e la nostra famiglia, quei ragazzi sono orgogliosi e si sentono italiani.
Ora mi chiedo quanto tempo i componenti di questo nucleo familiare dovranno aspettare per avere la nostra cittadinanza? Si tratta, evidentemente, di affrontare questa situazione e tutte le altre che riguardavano nell’anno scolastico 2021/2022 almeno 900.000 alunni, pari al 10 per cento dell’intera popolazione scolastica delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie con una nuova ed adeguata normativa che tenga conto sia degli aspetti di ordine pubblico, che quelli che attengono alla salvaguardia della nostra identità nazionale, sia degli aspetti culturali che sociali, partendo dalla premessa che la scuola è il vero, se non l’unico motore di una efficace integrazione.
Solo così si potrà consentire a chi – come le ragazzine di cui ho parlato – studia in Italia da anni di sentirsi di appartenere alla nostra comunità nazionale. In breve la cittadinanza andrebbe concessa a chi completa il ciclo di studi obbligatori (5 più 3), lasciando poi alla normativa di disciplinare le singole fattispecie concrete: ad esempio chi arriva in Italia e viene inserito nelle scuole medie inferiori come e quando raggiungerà il requisito richiesto, chi inizia a frequentare direttamente le scuole superiori dovrà attendere il conseguimento di un titolo di studio legale, ecc? Attualmente Forza Italia non ha depositato ancora un proprio disegno di legge, c’è però già un testo presentato la scorsa legislatura.
Noi moderati con Maurizio Lupi si è dichiarato subito favorevole. Carlo Calenda, con Mariastella Gelmini ha dichiarato che “assicurare la cittadinanza a chi ha completato il ciclo scolastico dell’obbligo è una misura di civiltà”. I Cinque Stelle hanno ripresentato in questa legislatura una proposta analoga sullo Ius Scholae già presentata nella scorsa. Infine c’è la significativa apertura di una parte del Pd con Graziano Del Rio, che considera questa “l’occasione giusta per fare un primo passo avanti per un’intesa bipartisan”.
Una cosa è certa: lo “Ius Scholae” in questa o altra forma andrebbe approvato con una maggioranza più larga possibile, naturalmente d’intesa possibilmente con tutto il Centrodestra. Il che non dovrebbe essere difficile ove si consideri che Fdi ha già dimostrato grande sensibilità sul piano umanitario quando là premier Giorgia Meloni ha fatto rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di protezione speciale alla vedova di Satnam Singh, il bracciante agricolo indiano morto abbandonato agonizzante e senza un braccio.
E coinvolgendo quella parte dell’opposizione non condizionata da ideologia e da demagogia.
Lo Stato italiano che già oggi garantisce ai minori stranieri diritti fondamentali, come l’accesso all’istruzione di ogni ordine e grado e alle cure sanitarie, deve e può fare uno sforzo ulteriore nell’ottica dell’integrazione vera di chi ha voglia e titoli per unirsi al nostro Paese, dopo anni di studio, lavoro e conoscenza delle nostre radici.
Riccardo Pedrizzi, Presidente Nazionale del Comitato Scientifico dell’Ucid,
(Unione Cristiana imprenditori e dirigenti)