Zingaretti ha riunito il vertice del suo partito in un’abbazia. Obiettivo: scrivere nero su bianco le proposte che il Pd presenterà ai partner di governo in vista della messa a punto dell’agenda per i prossimi 3 anni che Conte ha solennemente promesso di scrivere con i partiti della maggioranza.
La località scelta e la decisione di lavorare a porte chiuse segna una discontinuità con il clamore mediatico delle kermesse cui da un po’ siamo abituati, quando partiti e fondazioni loro vicine di riuniscono per parlare di cose concrete.
Questo stile più meditativo e di studio è sicuramente un buon segnale per una politica che ormai è ridotta a continui proclami sui social, ad una sequela di slogan recitati come litanie da leader onnipresenti.
I frutti di una politica che poco riflette su quello che propone li abbiano visti nell’improvvisazione di alcuni programmi scritti dalla sera alla mattina senza un approfondimento serio dei problemi e con l’unica preoccupazione di spararla grossa per imbonire l’opinione pubblica.
E’ probabile che un parte sempre più crescente dei cittadini comincia ad essere stufa da questo modo di fare che rende sempre più palese la distanza ingannatrice tra roboanti promesse semplificate e concrete attuazioni e risoluzioni dei veri problemi.
Il Pd fa, dunque, bene a mettersi a studiare attentamente, a discuterne spassionatamente a porte chiuse per individuare soluzioni adeguate.
In fondo una riflessione programmatica seria nel Pd manca da molto tempo, visto che negli ultimi 5 anni c’è stata poca condivisione delle scelte, una conduzione leaderistica estremizzata e un continuo scontro non sulle cose da fare ma su chi dovesse guidare il partito.
Con la sua consueta pacatezza, a tratti forse eccessiva, Zingaretti ha impresso un ritmo diverso al dibattito interno e ora lo ha, giustamente spostato sul terreno dei programmi, in vista di un congresso che in primavera dovrebbe sancire una svolta definitiva del partito con possibile cambio del nome.
Il metodo lascia ben sperare. Ma dovremo vedere i risultati del ritiro spirituale convocato dal segretario del Pd per poter capire se il Pd ha la capacità di tirar fuori idee nuove, praticabili e -soprattutto-coraggiose per imprimere una svolta a questa stagnante mancanza di riforme strutturali.
Nella coalizione di governo il Pd è quello che più storia ed esperienza di elaborazioni programmatiche. Ed è giusto attendersi che non produca un programmino per tirare a campare o di corto respiro.
Nel gruppo dirigente del Pd dovrebbe essere diffusa la convinzione che se il loro consenso è scivolato ai minimi storici è anche perchè il partito è sembrato vivacchiare su vecchi allori senza essere capace di esercitare un ruolo di guida, “egemonico” in senso gramsciano, in un Paese allo sbando.
L’uragano che Renzi scatenò ormai 6 anni fa nel Pd doveva servire a far cambiare l’aria stagnante di un Pd che appariva stanco, prigioniero dei suoi riti, contento di sentirsi il migliore ma sempre più distante dalle sensibilità che ribollivano nella società. Purtroppo la conduzione di Renzi divisiva, eccessivamente monocratica e senza un vero e approfondito dibattito interno ha finito per distruggere più di quanto non sia riuscito a rinnovare.
Dal Pd ora ci si aspetta un impulso nuovo, concreto ma di ampio respiro che sappia abbandonare le vecchie certezze di una sinistra che ovunque in Europa batte la fiacca e offra una visione di sviluppo dell’Italia originale e capace di entusiasmare un’opinione pubblica disorientata, diventata populista più per stanchezza che per convinzione.
Chiedersi se sia auspicabile che il Pd faccia una scelta più di sinistra o più di centro significa continuare ad essere schiavi di schemi che non funzionano più. Per questo il Pd deve offrire un progetto credibile che sappia cogliere gli elementi positivi che ci sono in posizioni di centro, di destra illuminata e di sinistra, ma sottraendoli alle estremizzazioni para-ideologiche e creando ex novo una nuova identità riformatrice adeguata ai tempi non facili che stiamo vivendo.
Le parole chiave di questa impostazione sono poche e semplici: sviluppo innovativo e green, equità sociale, scuola e università all’avanguardia, giustizia veloce, nuove libertà, stato più leggero ed efficiente.