Il 12% dei voti è assicurato solo dai percettori del reddito di cittadinanza cui si aggiungono i beneficiati dal 110% e i residui nostalgici del populismo. E Conte va al galoppo. Ha fatto cadere Draghi, aiutato da Berlusconi e Salvini. Chiede al Pd di mandare a casa Letta. Si prepara con allegra baldanza a fare opposizione pirotecnica al prossimo governo. E, intanto, sente il profumo del potere assoluto nel partito fondato da Grillo: non c’è più Di Maio, Di Battista si è chiamato fuori e i prossimi parlamentari 5Stelle saranno tutti suoi fedelissimi. Giunto alla sua terza -ma sarà l’ultima?- metamorfosi, Giuseppe Conte può essere considerarsi soddisfatto: per essere un parvenu della politica non gli è andata poi così male.
Gli ultimi sondaggi accreditano il M5s intorno al 13,5%. Ben al di sopra della soglia psicologica del 10% paventata da molti analisti dopo la caduta del Governo Draghi. Anche se raggiungesse il 15%, come alcuni ipotizzano, comunque otterrebbe meno della metà del 32,7% conquistato dai grillini nel 2018. Ma, nonostante questo, Conte sembra in brodo di giuggiole. E ne ha motivo.
Chi pensava di potersi sbarazzare facilmente dei 5stelle aveva sottovalutato non tanto le capacità di Conte quanto alcuni dati inoppugnabili. Lo zoccolo duro dei 5S è costituito da due solide basi elettorali. La prima è di tipo per così dire clientelare, la seconda di tipo populistico.
La base “clientelare”
La base “clientelare” è rappresentata da elettori che votano per i 5Stelle per poter continuare a godere di benefici che il partito di Conte ha introdotto 4 anni fa e che difende a spada tratta. Si tratta di coloro che percepiscono, più spesso a torto che a ragione, il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza. Una platea -dati Inps- di 3 milioni di persone. Tolti i bambini che non votano e aggiunti i numerosi parenti di questo milione e mezzo di nuclei familiari siamo a circa 4 milioni di voti in cassaforte. Nessun partito italiano può vantare un privilegio simile. Gli elettori italiani sono 50 milioni e diventano 35 milioni, se alle urne si reca il 70%. Dunque il Movimento 5stelle ha in tasca circa il 12% dei voti solo per effetto del reddito di cittadinanza, cui bisogna aggiungere i beneficiati dal bonus 110% di cui Conte si fa paladino..
Lo zoccolo duro dei populisti
Oltre a questa base elettorale legata a Conte da interessi concreti c’è quella tradizionalmente antisistema e populista che portò al successo il M5S nel 2018. Si tratta di un’area interclassista, formata anche da professionisti e benestanti schizzinosi, che 4 anni fa pensarono di dare un calcio nel sedere alla politica affidandosi a Grillo, Di Maio e Di Battista. Molti hanno capito di aver preso un abbaglio a puntare su un gruppo di arroganti inesperti guidati da un valente artista comico e hanno cambiato idea. Provano vergogna, non lo rifaranno. Ma in tanti hanno ancora il dente avvelenato contro la politica. Solo una piccola parte è attratta da Gianluigi Paragone gli altri continuano a credere al profeta Grillo e ai suoi discepoli.
Le metamorfosi di Conte
La prima trasformazione era avvenuta a giugno del 2018. Il paludato avvocato con curriculum di 12 pagine si era trasformato in una sola notte in Presidente del Consiglio: si dichiarò avvocato del popolo e tenne bordone a demagoghi e populisti della tempra di Salvini e del Di Maio dell’epoca.
Un anno dopo, Conte fece cadere il suo governo per far fuori Salvini e allearsi con il Pd. Si diede un tono più politico. Forzato anche dalla pandemia, divenne l’uomo-ancora di un popolo disorientato. Divenne così personaggio istituzionale ed equilibrato. Abbandonò il lessico populista e resistette per mesi senza scantonare mentre un assaltatore come Renzi lo bombardava quotidianamente. Uscito da Palazzo Chigi Conte si ritrovò leader di un partito allo sbando. Ha subìto scissioni e delegittimazioni fino a quando non ha deciso di far fuori un altro governo, ben più autorevole del suo, per mettere un argine all’emorragia di voti. Ed eccolo, cavaliere solitario contro tutto e contro tutti, a godersi il bottino di guerra: i voti “clientelari” e quelli populisti. Ma la pacchia sta per finire.