Partendo da alcune dichiarazioni di settimana, il quadro che ne emerge è fosco. Confcommercio: “A rischio 120mila imprese”. Confesercenti: “Il caro bollette mette a rischio 90mila imprese”. Fim: “Un terzo delle fabbriche rischia lo stop”. Abi: “Terremoto finanziario gravissimo”. E via discorrendo.
Il momento del grande reset sembra tra noi. Atteso da tutti come conseguenza della pandemia, in realtà il mondo avrebbe poi riprovato a risalire in sella alla vecchia maniera. Basti per esempio pensare al sempre più diffuso ritorno in ufficio, essenziale per formare i legami deboli spiega una recente ricerca, o allo sgonfiarsi della bolla tech che ci aveva fatto immaginare mondi nuovi.
La questione energetica
Il grande reset sembra invece essere arrivato con la bolletta energetica. E così abbiamo imparato, the hard way come direbbero gli americani, che il gas è ossigeno e che non bisognava aspettare di trovarsi in braghe di tela per prendere atto del fatto che era tutto troppo sbilanciato a sfavore sia della signora Maria, che delle nostre piccole e medie imprese.
E questo, peraltro, in un momento storico dove per 8 Italiani su 10 il climate change rappresenta una delle preoccupazioni principali, come conferma un recente studio Ipsos. Un dato che stona ancora di più alla luce del fatto che l’Italia di energia (ed energie) ne avrebbe da vendere. Certo, occorrerebbero progettazione, pianificazione, azione e controllo. Il che sarebbe già di per sé una potente manifestazione del concetto di energia alternativa, intesa come modo radicalmente diverso di fare le cose.
Il ritardo italiano
Per esempio, come ricorda un recente e bell’articolo di Fabrizio Fasanella, “Nell’ultimo anno, il contributo delle fonti pulite al sistema elettrico italiano è cresciuto dell’1,58%. Un immobilismo dovuto anche (e soprattutto) a iter burocratici obsoleti e farraginosi: più del 70% dei nuovi progetti eolici e fotovoltaici è ancora in corso di autorizzazione”. Più precisamente, “la stima di Legambiente è che, continuando con questo ritmo (0,56 Gw installati in media negli ultimi tre anni) l’Italia impiegherà 124 anni per raggiungere un obiettivo stabilito per il 2030”.
Insieme alle proposte per offrire una soluzione atta a scongiurare il peggior scenario possibile nel breve periodo, sembra chiara una cosa: abbiamo una grande occasione per cambiare nel medio e nel lungo. Il PNRR resta una tessera chiave del puzzle. Tuttavia, non basta.
A livello di metodo, per esempio, servirebbe snellire, essere il più leggeri possibile per agire perché se da un lato costruire un nuovo sistema di approvvigionamento energetico sostenibile è diventato essenziale e popolare, dall’altro se si è lenti a innovare non solo si finisce per essere obsoleti, ma anche preda del mercato e di chi ha dalla sua la scala per metterti fuori gioco. Tutto questo, naturalmente, si sa bene. Più modestamente, vale da promemoria.