“Le gambe sull’asfalto di Roma nel vento di mare, di pini nel nostro anno tra la guerra e il duemila” si muovono nell’estate del 1950, da cui il brano prende il titolo – mentre, passando da Piazza Farnese, associo queste parole ascoltate in musica infinite volte all’atmosfera rarefatta e densa al contempo del caldo umido che perdura da mattina a sera in questo luglio 2022; nel clima di incertezza sociale, etica, politica che sembra uniformarsi con la fisicità dei luoghi e tradursi nella stessa inedia che ne trabocca.
IL PASSAGGIO
Eppure nell’ingranaggio sistemico e vorticoso che ci trascina, è possibile scorgere l’aspetto del passaggio. Mi spiego: mi sono sempre chiesta che colore, che forma assuma il cambiamento. Se non ne ha mai avuta una ben delineata e definita, è perché la gradualità che caratterizza la natura della maggioranza dei grandi cambiamenti, ne ha sempre camuffato o meglio sbiadito i tratti.
LA GRADUALITA’ DEI GRANDI CAMBIAMENTI
I grandi cambiamenti infatti spesso avvengono assai lentamente – facendo di necessità virtù: poiché altrimenti risulterebbero più simili a veri e propri stravolgimenti esistenziali, come lo sono i traumi, perdendo la valenza dello stato intermedio proprio del cambiamento; e che ne consente la completa interiorizzazione, la sua acquisizione reale: la metabolizzazione del divenire che è divenuto. La gradualità dunque ne rappresenta il più delle volte l’essenza e pure la forza propulsiva.
IL TRAVESTIMENTO
I grandi mutamenti si travestono spesso di quiete: fingono di non esistere. In un tacito accordo tra le parti, tutti richiamano a gran voce il cambiamento, senza realmente desiderarlo; per poi rendersi inconsapevolmente artefici dello stesso. I cambiamenti infatti quasi sempre avvengono da soli. Non c’è un soggetto che ne tesse la trama: si cambia perché tutto resti com’è – come fu per i Gattopardi di Don Fabrizio Salina – eppure alla fine poi si cambia per davvero.
I MUTAMENTI AVVENGONO DA SOLI
Quelli che vogliono che nulla cambi, che tutto resti com’è, che niente cresca e migliori per mantenere una statica, egoriferita quanto meschina posizione di vantaggio – restano sempre del tutto inconsapevoli che mentre desiderano tutto ciò, per il solo fatto di averlo auspicato, hanno presagito il cambiamento imminente, attribuendogli – senza volerlo – ancora più forza ed accrescendo la spinta volitiva della sua innovazione.
L’ILLUSIONE COLLETTIVA
Perché tutto resti com’è – secondo Tomasi di Lampedusa – bisogna che tutto cambi; ma il presente non è il 1860-1910 della resurrezione, dell’indipendenza, dell’Unità d’Italia e non è il 1950 del secondo dopoguerra. Nell’eterno ritorno dell’uguale nietzschano il cambiamento assume solo forme diverse per mantenere una medesima sostanza ed un’unica realtà. L’errore da non commettere per molti è illudersi di rappresentare un’effettiva sostanza e non – come pare essere in realtà – soltanto forme inconsistenti e passeggere.