Racconta Danielle Pender che, quando due anni fa tutto questo ebbe inizio, ci fu una storia che ebbe fine. Fu allora, con l’esplosione della pandemia, che i suoi sponsor abbandonarono la nave e lei dovette mettere in pausa forzata il suo magazine, Reposte, un titolo molto quotato nell’ambiente dell’editoria indipendente e apprezzato da grandi brand e musei in giro per il mondo.
Dopo due anni e un periodo che lei definisce nebbioso, senza veri e propri momenti che permettano di identificarlo se non il passare dei lockdown, Danielle è riuscita a voltare pagina riprendendo le sue pubblicazioni.
La voglia di cambiare pagina
Per altri versi, sono molti coloro i quali cercano di voltare pagina in questo periodo. Per esempio, sempre più comune è la scelta di fare impresa come alternativa a lavorare in un’azienda nella quale magari non ci si ritrova più.
Infatti, uno dei motivi più comuni è il disallineamento tra i propri valori, come possono essere quelli che rientrano nelle categorie della sostenibilità sociale e ambientale, e quello che invece l’azienda fa nel merito.
Si tratta di una grande sfida, quanto consapevole non lo sappiamo visto che partire con un proprio progetto imprenditoriale non è per tutti e, in ogni caso, non propriamente una passeggiata di salute, checché ne dica la narrativa dominante. Che poi, a guardarci bene, è quella che ci parla di quell’1% di chi ce l’ha fatta alla grande, tipo di vari Bezos, Musk e compagnia. Poche le righe dedicate al signor Mario, idraulico di professione con la sua piccola srl.
La chiamano Great Resignation ed è diventato un vero e proprio trend. In America il 3% ha deciso di lasciare il proprio lavoro per fare altro. Ci sono paesi in cui i numeri sono molto maggiori. Come, per esempio, in Canada dove il 30% della forza lavoro ha cominciato a prepararsi per completare il grande salto nell’imprenditoria nei prossimi due anni. Insomma, la pandemia come occasione per fare pivot.
L’interesse dei grandi capitali e il rischio catch-22
Di fronte a tutto ciò non poteva mancare l’interesse degli investitori. L’Economist, per esempio, racconta di come le dimensioni dei fondi di venture capital alla ricerca di ottimi investimenti siano esplose. Sarebbero 450 i miliardi di dollari freschi pronti a essere investiti in progetti ad alto impatto. Ci sono naturalmente dei rischi a fronte di questa ondata verde, di dollari s’intende.
Si, perché gli investitori, che spesso determinano quali aziende possono avere una possibilità e quali no, sembrano considerare i temi legati alla sostenibilità, come gli SDG, un fattore puramente igienico. A confermarlo una ricerca di Impact House secondo cui la sostenibilità è fattore sicuramente da non trascurare in questo momento storico, ma niente di più. Ovvero, avere una buona causa è condizione necessaria ai tempi d’oggi per raccogliere fondi, ma non sufficiente. A contare ci sono altre cose, spesso quelle da cui i nostri aspiranti capitani d’impresa cercano di scappare.